“Un giorno della vita”, di Giuseppe Papasso

Pur ambientato negli anni cruciali che vedono la massima espansione delle sale parrocchiali e la diffusione della televisione tra le classi meno agiate, l’omaggio al cinema di Papasso preferisce a qualsiasi riflessione sul ruolo del mezzo cinematografico o sul suo uso da parte della politica e della Chiesa la poesia forzata dei primi piani e una nostalgia sincera ma che finisce per risultare imposta

 

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Un giorno della vita

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Basilicata, 1964. Il dodicenne Salvatore, rinchiuso in riformatorio per furto su richiesta del padre, un operaio comunista, racconta a un giornalista la propria storia. Non ha rubato una macchina da scrivere come Antoine Doinel (cui il regista dichiara di essersi ispirato), ma i soldi necessari per acquistare un proiettore: è la sua passione per Maciste e per Chaplin ad averlo spinto a sottrarre alle casse della sezione locale del PCI i risparmi faticosamente raccolti tra i militanti per inviare una delegazione ai funerali di Togliatti e a tradire la causa paterna tentando di avviare una sala cinematografica nella parrocchia dell’odiato sacerdote del paese. L’esordio del documentarista e saggista Giuseppe Papasso, che richiama quello truffautiano unicamente nel pretesto narrativo, pesca invece abbondantemente in un preciso immaginario cinematografico nostrano. Se la rievocazione della spaccatura ideologica e culturale di quegli anni attinge alle due maschere – Don Camillo e Peppone – che nella memoria popolare rimangono tre le incarnazioni più concrete e colorite delle due anime che hanno segnato un periodo cruciale della nostra storia, la rappresentazione di un mondo infantile incompreso dagli adulti, le amicizie tra coetanei e le corse in bici negli assolati paesaggi lucani rimandano alle atmosfere del Salvatores di Io non ho paura. Ma la favola sul cinema e su un mondo scomparso che Papasso ha l’ambizione di raccontare guarda dichiaratamente a Giuseppe Tornatore. A Nuovo cinema Paradiso, prima di tutto, che omaggia direttamente nel nome e nella passione cinefila del protagonista, vissuta come insostituibile evasione nel sogno e fruita in termini e modi (la censura, i fumosi cinema di provincia, le sale parrocchiali) completamente perduti. Tuttavia, sono forse gli echi di un’opera come Baarìa a risuonare più chiaramente nel film di Papasso: per il suo carattere di malinconico amarcord, accentuato dalle musiche ridondanti e dai toni fin troppo caldi della fotografia, e soprattutto per una visione (consapevole o meno) della Storia come luogo immobile, a cui si può guardare con rimpianto ma dove appare inutile rintracciare le radici del nostro presente. Pur ambientato negli anni cruciali che vedono la massima espansione delle sale parrocchiali e la diffusione della televisione tra le classi meno agiate, l’omaggio al cinema di Papasso preferisce a qualsiasi riflessione sul ruolo del mezzo cinematografico o sul suo uso da parte della politica e della Chiesa la poesia forzata dei primi piani e una nostalgia sincera ma che finisce per risultare imposta. Vorrebbe fare del protagonista, l’unico in grado, pur nella sua ingenuità, di attribuire al cinema un’importanza incomprensibile a chiunque lo circondi, il vero cuore “rivoluzionario” del film; eppure il sogno di Salvatore, annacquato nell’abbraccio riconciliatore di famiglia e istituzioni, non riesce a vibrare di vita autentica, ma ci arriva come una semplice cartolina su un mondo che non c’è più.
 

 
 
 
Interpreti: Maria Grazia Cucinotta, Pascal Zullino, Alessandro Haber, Ernesto Mahieux, , Matteo Basso, Domenico Fortunato, Mia Benedetta,
Origine: Italia, 2010
Distribuzione: Iris Film Distribution
Durata: 87’
 

 
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    3 commenti

    • domenico gallipoli

      Il film ha il profumo degli anni e degli ambienti descritti con semplicità. Quanta differenza tra quegli uomini che, pur nelle loro debolezze, erano animati da onestà e voglia di cambiare le cose, e questo nostro grigio panorama, affollato di veline, prostitute nel fisico e nell'anima, prostituti ed imbroglioni!

    • ancora sti' filmetti retorici da 4 soldi…prova ne e' il boxoffice…

    • x gallipoli…la tua e' solo venatura retorica…