“Qualunquemente”, di Giulio Manfredonia

qualunquemente Antonio Albanese

"Erezioni anticipate!!!". E' l'unica cosa che Cetto la Qualunque non osa urlare ai suoi concittadini. Al di là dei richiami più o meno espliciti sociali e politici, Cetto avrebbe potuto essere (ma può ancora diventarlo) un avanguardista per il quale il cinema è un interminabile ripetersi e sovrapporsi di suoni, battute, rumori, parole e ci si smarrisce come di fronte al vuoto, alla mancanza di un limite, di un confine: la frontiera si è allontanata a distanze siderali, è diventata indistinguibile dal nulla. Figurazione o trasfigurazione dell'oggi? Cetto si smarrisce rapidamente…

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qualunquemente“Erezioni anticipate!!!”. È l'unica cosa che Cetto la Qualunque non osa urlare ai suoi concittadini. Quelle che il piccolo paese calabro si appresta ad accogliere, con due candidati a contendersi la poltrona di sindaco: il primo è un dimesso professorino della legalità, il secondo è un “animale” da palcoscenico, barocco figuro che nasce dal piccolo schermo e si è propagato sul grande, in un'espansione (h)ar(d)core di cromatismi, accozzaglie, “pilu” e slogan devastanti. Sì, proprio devastanti, magari anche angoscianti, ma l'angoscia che sale non è chiaro se è frutto dell'assenza di cinema o della prepotente presenza scenica di Antonio Albanese, pronto a decantare con diabolico tempismo l'impasto tra realtà e reality. Probabile obiezione: “Ancora una volta il solito professorino del c…, che non sa divertirsi, non sa prendere le cose così come vengono (e Troisi avrebbe risposto: “Ma perchè la vita si può prendere anche come va?”), che non trova piacere a sgranocchiare popcorn e vorrebbe elevare il discorso senza averne le qualità e soprattutto il senso della misura”. Il senso della misura che servirebbe a collocare nel giusto contesto un prodotto del genere e che non ci faccia troppo confidare in una corrosiva, intelligente, quanto imprescindibile allegoria politica. Se il cinema latita (e non era stato così nei precedenti lavori del regista e soprattutto in Si può fare ed E' già ieri), neanche il comico gira al meglio (In L'uomo d'acqua dolce sembrava più libero e ispirato), proponendo ancora una volta un suo cavallo di battaglia tele/teatrale. Come se fosse imbrigliato dalla stessa sceneggiatura (tra l'altro scritta a quattro mani), concepita quasi per tenere a bada gli eccessi grotteschi del personaggio. Eccessi che però hanno il fiato corto, perdono di forza propulsiva appena partono e si sgonfiano inesorabilmente al ripetersi uno dietro l'altro, senza soluzione di continuità. Al di là dei richiami più o meno espliciti sociali e politici, Cetto avrebbe potuto essere (ma può ancora diventarlo) un avanguardista per il quale il cinema è un interminabile ripetersi e sovrapporsi di suoni, battute, rumori, parole e ci si smarrisce come di fronte al vuoto, alla mancanza di un limite, di un confine: la frontiera si è allontanata a distanze siderali, è diventata indistinguibile dal nulla. Figurazione o trasfigurazione dell'oggi? Cetto si smarrisce rapidamente. Un modo per afferrare il nostro presente, la sua specifica fisionomia, poteva essere, forse, quello di cogliere una peculiare declinazione dei problemi di fondo della condizione umana. Come molti predecessori nostrani, che dal cabaret scendono in campo medio e lungo, anche Cetto volge lo sguardo all'appropriazione o parodia, non aggredisce, non penetra nel corpo delle immagini, non le abita per sentirle respirare o almeno ansimare.

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Regia: Luca Manfredonia
Interpreti: Antonio Albanese, Lorenza Indovina, Sergio Rubini, Antonio Gerardi
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 95'
Origine: Italia, 2011
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