“The fighter”, di David O. Russell

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The fighter
è un film che fotografa in maniera precisa il conflitto che anima il territorio sempre più indistinto tra il piccolo (quanto piccolo?) e il grande (quanto grande?) schermo. E’ una lotta tra fratellastri, due contendenti uniti da un vincolo di parentela che nonostante gli sforzi non riescono a non sentire fortissimo. Personaggi di "puro cinema" si scontrano con match ripresi in stile telecronaca e frammenti di un documentario HBO: chi vincerà il titolo?

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the fighter christian bale mark wahlberg micky ward dicky eklundMicky Ward è un lottatore ben poco cinematografico. Incassa quasi senza reagire per round che sembrano interminabili, si muove a malapena sul ring, i colpi micidiali con cui riesce a vincere i match non hanno nulla di spettacolare (di solito, un letale pugno ai reni). I registi delle dirette televisive hanno con lui gioco facile: la schematicità e la staticità delle riprese di una telecronaca non presentano problema alcuno nel fissare e nel cogliere appieno l’essenza del gesto atletico del pugile.
Per contro, il fratellastro Dicky Eklund è puro cinema: inafferrabile, inarrestabile, è una stilizzata molla costantemente sopra le righe, instancabilmente esagitata, sempre in movimento, le braccia che mulinano nell’aria e gli occhi fuori dalle orbite. Non a caso, l’Academy riconosce subito il proprio territorio, e l’interpretazione non proprio fantasiosa di Christian Bale si becca l’Oscar: cinema certificato.
Nel frattempo, Mark Wahlberg se ne sta in disparte, addirittura dietro le quinte: produce. Questo film e oramai un sacco di televisione (Entourage, In Treatment, Boardwalk Empire con Scorsese): Micky Ward è il ruolo per lui.
Visto così, The fighter è un film che fotografa in maniera precisa il conflitto che anima il territorio sempre più indistinto tra il piccolo (quanto piccolo?) e il grande (quanto grande?) schermo. E’ una lotta tra fratellastri, due contendenti uniti da un vincolo di parentela che nonostante gli sforzi non riescono a non sentire fortissimo.
David O. Russell è uno di quei registi un po’ ruffiani che piacciono per esempio a George Clooney (con cui infatti ha girato l’ottimo Three Kings), e viene dal tentativo di tracciare il ponte che unisca finalmente Woody Allen con Wes Anderson (I heart huckabees): qui sbaglia completamente la colonna sonora, affidata a un greatest hits seventies decisamente fuori posto (il film è ambientato nei primi ’90), ma ha la buona intuizione di farcire sensibilmente il film di televisione.
Sono in formato tv le sequenze degli incontri di boxe, sia quelle inserite nella vicenda e raccontate con gli stilemi e il ritmo delle telecronache, che i match guardati al televisore dai personaggi (come nella bella sequenza in cui l’altra attrice premiata al Kodak Theatre, Melissa Leo, racconta al telefono l’incontro di Micky al fratello in carcere, che non lo può seguire). E poi c’è questo documentario della HBO su Dicky Eklund che attraversa tutta la prima parte della pellicola dialogando con il linguaggio del film.
Emblematico è l’incipit, con Walhberg che viene raggiunto alle spalle da una finta soggettiva di Bale che lo invita a battersi agitandogli contro i pugni: la mdp di Russell prima svela la troupe televisiva che va pedinando Eklund, poi si allontana con una vertiginosa carrellata all’indietro velocizzata. Il cinema indietreggia, lasciando la tv in campo.

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Nella scena successiva Dicky e i suoi amici tossicodipendenti mimano dal vivo le movenze e il balletto dell’incontro Eklund – Sugar Ray guardandolo per l’ennesima volta sul televisore, come se il cinema volesse per reazione riappropriarsi, reinterpretandolo di persona, di storie e immagini per sempre immortalate dal piccolo schermo. E infatti Dicky, il “personaggio-cinema”, rifiuta violentemente la versione della sua vita che alla fine il documentario restituisce agli spettatori, quando insieme ai compagni galeotti ne segue la prima messa in onda in tv da dietro le sbarre.
Mark Wahlberg, il “guerriero televisivo”, si accorge di essere al cinema solo grazie alla profondità di campo: quando è in primo piano, alle sue spalle spuntano puntualmente altri personaggi (il padre nel momento del primo approccio con Charlene, la madre nell'istante dell'abbraccio col fratello uscito di prigione, lo stesso Dicky che si allontana quando Charlene torna con Micky…), spesso si tratta degli oppressivi parenti di questa ossessiva famiglia manageriale, qualche volta è l’amata Amy Adams in una performance “à la Marisa Tomei” (l’altro produttore Darren Aronofsky doveva in principio dirigere il film).
The fighter si chiude abbastanza colpevolmente prima di raccontare le epiche sfide tra Ward e Arturo Gatti, ma incornicia coerentemente i due fratellastri con una breve sequenza ripresa “dal vero”, con il reale Dicky Eklund che toglie la parola a Micky anche nei saluti alla troupe televisiva, e la forma del fuori onda che per un attimo brevissimo fonde finalmente i due linguaggi tirati in ballo dal film.

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Titolo originale: id.
Regia: David O. Russell
Interpreti: Mark Wahlberg, Christian Bale, Amy Adams Melissa Leo
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 118'
Origine: USA, 2010

I Dropkick Murphys eseguono The Warrior's Code, brano dedicato ad Irish Micky Ward, live a Boston, alla presenza di Ward tra il pubblico:

QUI il video ufficiale montato con frammenti dei match di Ward

 

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