"Rango", di Gore Verbinski

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Alla fine, quel che resta è quest’estrema consapevolezza dell’esigenze di una struttura narrativa, consapevolezza che attraversa tutto il film fino a farlo diventare un vero e proprio saggio di narratologia sulle situazioni e gli archetipi del racconto. Ed è chiaro che questo discorso narrativo, applicato al western, elegga a punto di riferimento centrale il cinema di Sergio Leone, l’uomo dei C’era una volta, delle favole che si fanno riflessione sul mito e sulle sue dinamiche eterne, sull’immaginario del West come cuore (non tanto) segreto di tutto il cinema passato, presente e futuro, americano e non solo

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rangoTutto parte da una messinscena. In una teca di vetro, un camaleonte, eroe poco probabile della storia, corre in difesa di una bambola senza testa, minacciata da un pesciolino di plastica. Come da convenzione. Ma tutto è fermo, come i comprimari, e la storia non riesce ad andare avanti. Cosa manca? Il conflitto, ovviamente, l’anima di ogni racconto. Occorre quell’evento che catapulti l’eroe nel mondo straordinario dell’avventura e lo ponga di fronte alla prova. Presto detto. L’auto in cui viaggia il protagonista, ancora inconsapevole, sbanda e la teca di vetro finisce nel bel mezzo del deserto del Mojave. Fuori da casa, il viaggio può cominciare. La partenza è da manuale di sceneggiatura e dice da sola la portata prettamente teorica di Rango. Dunque, catapultato fuori dalla ‘sicurezza’ della macchina e dalla convenzione degli affetti, il giovane camaleonte si trova costretto ad affrontare l’arsura del deserto, prima di arrivare nella città di Polvere, devastata da una tremenda siccità. Il problema degli abitanti disperati è di ritrovare la liquidità, l’acqua necessaria alla vita. L’unico che non sembra porsi il problema è l’ambiguo sindaco tartaruga. “Chi controlla l’acqua, controlla il potere”, ripete al giovane Rango. E si affaccia lo spettro di John Huston… Ma il gioco delle citazioni è infinito, come sempre accade all’animazione di questi tempi: Apocalypse Now e poi western e western.
C’era più di un motivo di interesse per questo primo lungometraggio di animazione di Gore Verbinski, regista della saga dei Pirati dei Caraibi, prodotto dalla Industrial Light & Magic, l’azienda di effetti speciali che fa capo a George Lucas. In particolare c’era curiosità per la tecnica della emotion-capture, sviluppo della motion capture di Zemeckis. Animazioni digitalizzate sui movimenti e le interpretazioni degli attori. C’era attesa per la prova di Johnny Depp, sempre più, è il caso di dire, camaleontico. Ma, alla fine, quel che resta impresso è quest’estrema consapevolezza dell’esigenze di una struttura narrativa, consapevolezza che attraversa tutto il film fino a farlo diventare un vero e proprio saggio di narratologia sulle situazioni e gli archetipi del racconto. Gran parte del merito va alla sceneggiatura di john Logan, ma, forse, non è un caso che nel progetto ci sia lo zampino di  Lucas, con le sue ossessioni campbelliane.
L’intuizione, tipica della contemporaneità, è di mettere in crisi l’eroe, spostando la dimensione dei conflitti dall’esterno all’interno. Non è più l’uomo (già, l'uomo) che costruisce la frontiera, la società a venire. Ma il personaggio a confronto con se stesso, con le proprie aspirazioni e paure. Rango è il viaggio dell’eroe vissuto nel profondo dell’anima, percorso tormentato verso l’acquisizione della consapevolezza del proprio ruolo nella storia, la Storia, cammino di scoperta dell’identità nel punto esatto in cui la rappresentazione diventa ‘realtà’. 
E’ chiaro che tutta questo discorso metanarrativo, applicato al western, elegga a punto di riferimento centrale il cinema di Sergio Leone, l’uomo dei C’era una volta, delle favole che si fanno riflessione sul mito e sulle sue dinamiche eterne, sull’immaginario del West come cuore (non tanto) segreto di tutto il cinema passato, presente e futuro, americano e non solo. Certo, non mancano i mezzogiorni di fuoco e i riferimenti più classici del genere, ma quando lo Spirito del West viene ‘incarnato’ da uno spettro che ha le fattezze di Clint Eastwood, non c’è dubbio di quale sia l’orizzonte di riferimento. Naturalmente, proprio per questo gioco di riflesso, viene meno qualcosa. La frontiera, dicevamo. Privato dell’uomo, trasformato dai pixel, e dello spazio, compresso nello stereotipo, il West diviene un maniera, spogliato della sua necessaria tensione morale. Resta l’idea, tanto di Leone quanto di Peckinpah, di un progresso che fagocita progressivamente (appunto, gioco di parole necessario) lo spazio dell’avventura e i confini del mito. E, oltre quella, l’intuizione fordiana di un indistruttibile primato della leggenda sulla storia. Vero o fasullo, non conta. Live action o animazione, cambia poco. Questo è Rango, il camaleonte che uccise Liberty Valance. Con un colpo solo.
 
Titolo originale: Id.
Regia: Gore Verbinski
Interpreti (voci): Johnny Depp, Isla Fisher, Abigail Breslin, Alfred Molina, Timothy Olyphant, Bill Nighy, Harry Dean Stanton
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 107’
Origine: USA, 2011
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