“Silvio Forever”, di Roberto Faenza e Filippo Macelloni

silvio forever Viene osservata una posizione progettuale di attinenza ai fatti e alle testimonianze, di “racconto a distanza”, che con scaltrezza salva il film, rendendo merito alla bipolarità berlusconiana, al suo essere immagine graniticamente vera/falsa; eppure  il documentario di Faenza e Macelloni persegue cinematograficamente (?) un linguaggio che è già in ritardo, superato in partenza dallo sfrenato consumo mediatico sull’immagine berlusconiana dell’Italia di oggi. Quasi una stanca forma di riciclo

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silvio forever“Non un documentario dichiaratamente ostile e «contro», bensì una sorta di «autobiografia», sia pure non autorizzata e venata di ironia”. È seguendo questa linea che i giornalisti Sergio Rizzo  e Gian Antonio Stella, coadiuvati dalla regia di Roberto Faenza e Filippo Macelloni, hanno concepito questo racconto cinematografico della parabola umana e politica di Silvio Berlusconi, dagli anni della sua infanzia ai giorni nostri. Una raccolta imponente di materiale d’archivio, audiovisivo, giornalistico e bibliografico, costato tre anni di lavoro, completamente incentrato sulla controversa figura dell’attuale Presidente del Consiglio. Il film di Faenza e Macelloni è sostanzialmente un News on the March (ricordate il cinegiornale su Kane dentro Quarto potere?) dilatato a 80’, un incessante tour de force con/su l’immagine berlusconiana, di cui probabilmente sarebbe possibile scrivere senza averlo visto, tale è la trasparenza contenutistica e formale. L’operazione, per quanto sostanzialmente (e quindi colpevolmente) innocua, non arriva alla deprimente impasse con cui la discutibile apologia di Videocracy finiva con il condannarci. Il problema sotteso a un’opera come Silvio Forever, non è quindi tanto di natura ideologica, dove anzi viene osservata la posizione progettuale di attinenza ai fatti e alle testimonianze, di “racconto a distanza” che con scaltrezza salva il film, rendendo merito alla bipolarità berlusconiana, al suo essere immagine graniticamente vera/falsa; quanto di natura estetica, per il suo perseguire cinematograficamente (?) un linguaggio che è già in ritardo, superato in partenza dallo sfrenato consumo mediatico sull’immagine berlusconiana dell’Italia di oggi. Quasi una stanca forma di riciclo.
Tra scelte discutibili – l’imitazione vocale di Neri Marcorè che legge stralci autobiografici e dichiarazioni del Premier andate perdute impone, ad esempio, una vena vagamente grottesca e cabarettistica al testo filmico (anche qui quasi a voler imprimere definitivamente la nostra impossibilità di poter parlare/pensare Berlusconi senza l’ausilio frustrante dello sfottò) – e spunti interessanti – Arcore di nuovo come la Xanadu di Kane/Welles, sogno testamentario dei miliardari, e il finale del Cesare pugnalato (forse a presagire l’inevitabile martirio per mano della Casta) – il film di Faenza e Macelloni mostra un’intelligenza rimarchevole ma paradossalmente pigra, troppo trincerata nella sua misura riassuntiva. Un work in progress (nel senso che, ovviamente, questa storia non è ancora finita) che alla dispersione dei materiali e alla decadenza delirante dei contenuti preferisce giocare troppo in difesa, inseguendo una comunicazione inevitabilmente in differita. 

 

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Regia: Roberto Faenza, Filippo Macelloni
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 80'
Origine: Italia, 2011

 

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