TORINO 28 – "Vanishing on 7th Street", di Brad Anderson (Rapporto Confidenziale)

vanishing on 7th street
Il cinema – al di là di ogni discorso teorico – in questo Vanishing on 7th Street riesce ancora a palesare se stesso formulando quesiti sullo strettissimo oggi. E ciò che disperatamente rimane in vita è solo l'immagine che lotta per se stessa, per la propria sopravvivenza. Immagine che ci parla della indecifrabilità del nostro reale proprio attraverso la sua mancanza . Ci parla del buio di ogni senso, risucchiato anch’esso dal misterioso blackout

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Vanishing on 7th Street

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Un fascio di luce da un proiettore e i titoli di testa del film che scorrono. È già il meccanismo/cinema che (si) svela direttamente (dal)la fonte della sua essenza: la luce. E guarda caso l’azione/narrazione parte subito in una cabina di proiezione, dove il proiezionista Paul (John Leguizamo) svolge il suo lavoro al buio. Poi poche scene da ordinario "american movie" che preludono il totale blackout: la luce non c’è più, il nero avvolge tutto, anche i fotogrammi. Anche il cinema.

La trama del bellissimo film di Brad Anderson è tutta qua. Un nero misterioso che inghiotte ogni figura umana non "illuminata", lasciando come esile traccia solo l'involucro del nostro esistere odierno: vestiti vuoti. Ma nella metropoli partorita dal ‘900 la luce è solo artificiale, l’energia elettrica è la fonte del nostro esistere, senza la quale non vi è vita. Senza la quale non si è. E la mancanza di luce non crea semplicemente morte…di più…crea inesistenza! Quindi: dove viene inghiottita l’umanità che semplicemente svanisce sotto i nostri occhi non appena si spegne la luce? Da dove si originano quelle ombre che si stringono come dita di un'unica mano, avvolgendo i flebili raggi che illuminano i pochi superstiti, per spegnerli come strozzandoli? Dov’è il controcampo di tutto ciò? Il “male”, proprio come nell’immenso E venne il giorno di Shyamalan, non ha volto: si muove leggiadro nell’aria fregandosene di ogni legge fisica e non palesandosi mai. Il male è confinato in un fuori campo verso il quale i personaggi rivolgono il proprio sguardo, venendo risucchiati per questo: perchè vogliono vedere. Il cinema come regno delle ombre riscopre le proprie origini quindi e proprio come in The Fog, la nebbia del maestro John Carpenter che avvolgeva San Antonio Bay e tutta quanta la Storia Americana in un limbo di oscurità perturbante, questo blackout “vivo” di Brad Anderson spegne ogni vita e ogni storia lasciando sull’asfalto solo domande.

Il cinema quindi – al di là di ogni discorso teorico – in questo Vanishing on 7th Street riesce ancora a palesare se stesso formulando quesiti sullo strettissimo oggi. Cosa rimane della nostra esistenza se privata dell’universo mediatico? Il giornalista Luke (Hayden Christensen) si aggira in un deserto studio televisivo guardando e riguardando ossessivamenteVanishing on 7th Street l’ultima registrazione prima del blackout, vuole una risposta ma non riesce a leggere nel buio di quelle immagini E allora il cinema si rivolge di nuovo all’horror: quello classico, che viene citato (dalle ombre espressioniste di Murnau, sino ad una carrozzina su cui si affaccia una madre chiamata Rosemary, solo che questa volta il suo baby non si vedrà mai, perchè anch’esso risucchiato) e rielaborato come retroterra/referente per spettatori ormai già smaliziati e avvezzi ad ogni sorta di paura. Una paura vista pertanto come impossibile oramai da suscitare e quindi bypassata anch’essa. Ciò che resta è solo un senso di cerebrale e ghiacciato incubo, di inquietante “mancanza” di luce cha fa cadere ad uno ad uno tutti i personaggi e tutte le nostre certezze. Ogni nostra previsione, figlia di una abituale e tradizionale narrazione novecentesca, crolla: perché semplicemente qui non c’è più narrazione. Perchè l'eroe dai mille volti di Joseph Campbell non c'è più. Perché è stata tutto lasciato alle spalle dopo appena due minuti di film.

Ciò che disperatamente rimane in vita è solo l'immagine che lotta per se stessa e per la propria sopravvivenza. Immagine che ci parla della indecifrabilità del nostro reale proprio attraverso la sua mancanza. Ci parla del buio di ogni senso, risucchiato anch’esso. La luce riesce faticosamente a resistere solo per due bambini, un cavallo e una strada (gli archetipi base per una “nuova” narrazione?): coglie appena una speranza che in un qualche lontano mondo/proiettore qualche altra vita/immagine possa ancora originarsi. Insomma dalla luce al buio e viceversa, il film di Brad Anderson parla disperatamente ancora di noi.

 

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    Un commento

    • Saw this in Toronto, liked it very much but was worried that the kids would die at end. was that point? does Anderson give us a choice in end?