BERLINALE 61 – "The Devil's Double" di Lee Tamahori (Panorama Special)

the devil's double lee tamahori
Il regista neozelandese porta sullo schermo la vicenda del figlio di Saddam Hussein che si è procurato un doppio per preservare la propria incolumità. Le traiettorie del cinema d'azione vengono malamente disperse a favore di un biopic caricaturale tra luci soffocanti e insistiti ralenti in cui il respiro del diavolo si sente appena e dove Ludivine Sagnier è totalmente sprecata

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the devil's double lee tamahoriChe il cinema del neozelandese Lee Tamahori sia soprattutto legato a un titolo, Once Were Warriors, è in parte vero. E' chiaro che non ha più raggiunto il livello di quel film però molte volte si è confrontato con operazioni di mestiere più che dignitose come lo 007 di Die Another Day e Nella morsa del ragno. Nel caso di quest'ultimo The Devil's Double le traiettorie del cinema d'azione vengono malamente frantumate per un tentativo biopic che utilizza inizialmente frammenti documentari, cerca di filmare il movimento convulso e lo scatto irrazionale della follia ma finisce per restare totalmente impermeabile all'euforia e all'inferno di Bagdad nel quale finge di annegarci dentro. Nel 1987  Oudai Hussein, figlio del dittatore Saddam, si prende da solo tutti i privilegi. Si può appropriare di abitazioni, auto di lusso, fidanzati o figlie di altri. Nessuno osa dirgli no. Nel frattempo però si è fatto molti nemici, alcuni dei quali vorrebbero farlo fuori. Per preservare la propria incolumità, decide di procurarsi un suo doppio e la scelta ricade su Latif, suo vecchio compagno di classe.

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Potrebbe quasi essere un horror. L'incubo/privilegio del doppio (anche Saddam in una partita a tennis), immagini che si materializzano e moltiplicano nello specchio, segni che potrebbero anche essere presenti in un episodio di 007. Purtroppo The Devil's Double, per materializzare la pazzia, sceglie la strada della caricatura ed elimina la fisicità degli scontri, rimasti solo su un video in una compiaciuta e inutile immagine di torture. Tamahori segue il suo doppio protagonista (interpretato da Dominic Cooper) nei meandri di un paradiso/inferno, sotto le luci ipnotiche di una discoteca in cui è sotto gli effetti della droga, lo immerge in fasci di luce abbaglianti in cui delirio ed estasi diventano coincidenti. In generale però si occupa di portare sullo schermo eventi che lo riguardano, facendolo muovere in modo schizzato mentre il suo sosia è spesso immobile e schiavo chissà di quali tormenti interiori. Ogni azione però è sottolineata come il ralenti con il protagonista che segue le ragazzine che escono da scuola e la luce soffocante che precede il gesto del suicidio della sposa. Troppo rumore per niente e il vero respiro del diavolo si sente appena. E Ludivine Sagnier è totalmente sprecata.

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