Blog DIGIMON(DI) – Luci di morte

Gaza e Israele dallo spazio

La luce è vita, sembrano quasi sempre dire le immagini che ci arrivano dall'alto. E in Apes Revolution il mondo in preda a un virus si spegne un pò alla volta, continente dopo continente. Ed ecco invece arrivarci dallo spazio una foto di Alexander Gerst, astronauta tedesco in missione sulla ISS, che rovescia questo punto di vista: la luce può essere anche una tragedia.

Dal Blog DIGIMON(DI) di Federico Chiacchiari

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Forse dovremmo tutti fare un viaggio nello spazio, almeno una volta. E osservare, dalla “giusta distanza”, quello che avviene sulla Terra. Probabilmente la scelta di un punto di vista diverso cambia la percezione stessa delle cose, della vita come, purtroppo, della morte.

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Alexander Gerst

 

Questo tweet, dell’astronauta tedesco Alexander Gerst, ha davvero “fatto il giro del mondo”. In poche ore ha avuto oltre 38mila retweet, e un numero incalcolabile di visualizzazioni, anche sui principali giornali di tutto il mondo.

E’ una semplice foto, tra le tante che l’equipaggio della stazione ISS, ci manda dallo spazio attraverso quel fenomenale veicolo di comunicazione che è Twitter. Ne abbiamo viste anche in passato, di queste foto “dal cielo”, immagini di luce e di buio, immagini di diverse civiltà. Ogni volta che abbiamo visto queste immagini, avevamo una sorta di “lettura automatica” ricorrente: la luce è la vità e la civiltà (elettrica), il buio è la morte, comunque l’oscurità del passato, vigente solo in territori inesplorati o sotto crudeli e anacronistiche dittature.

Ma nell’immagine che Alexander Gerst ci ha inviato, “La mia foto più triste“, questa dicotomia luce/vita buio/morte, ci appare improvvisamente rovesciata.  Le luci sono le esplosioni e i razzi che sorvolano Gaza e Israele. Le luci sono portatrici di morte.

Ecco che un’immagine si pone come “nuovo sguardo” possibile, rilanciandoci negli occhi la tragedia enorme in atto. “we can actually see explosions and rockets flying over #Gaza & #Israel“, scrive nel tweet: Noi possiamo vedere la guerra, ORA, sotto forma di luce.

Non mi permetto di scrivere con un punto di vista personale sul conflitto che da tanti troppi anni insanguina quei territori. A volte leggo dei titoli sui giornali e mi chiedo se sono gli stessi che leggevo da ragazzo degli anni settanta… La questione è talmente complessa ed evidentemente “senza soluzione” che qualsiasi riflessione mi appare scoraggiante e superflua.  Bombe “intelligenti”, “civili come scudi umani”, “danni collaterali”, accuse reciproche di commettere atti illegittimi, come se la guerra potesse essere mai definita “legittima”. Certo come scrivono alcuni è una guerra “asimmetrica”, perchè combattuta da due realtà che hanno potenza economica e tecnologica lontanissima. Come scrivono Nicola Perugini e Neve Gordon su Al Jazeera (tradotta da Internazionale 1061), “gli abitanti della striscia di Gaza sono bombardati da aerei all’avanguardia e da droni, ma non hanno rifugi dove scappare e non possono lasciare il paese. Gli abitanti di Israele, invece, sono bombardati con razzi artigianali, molti dei quali sono intercettati dal sistema di difesa Iron Dome. La maggior parte della popolazione israeliana può nascondersi nei rifugi o spostarsi in zone che sono fuori dalla portata dei razzi“.

 

Questo però non vuol dire che il crimine di lanciare dei razzi sulla popolazione israeliana sia “meno grave” di quello di lanciarli sulla popolazione di Gaza, solo perchè i primi hanno un sistema di difesa e gli altri no. Un crimine è un crimine, anche se non riesce fino in fondo.  Sullo stesso settimanale Giovanni De Mauro pubblica un’agghiacciante elenco dei 132 palestinesi sotto i 18 anni uccisi tra l’8 e il 21 luglio 2014, a Gaza.  Terribile. Al 22 luglio i morti sono 635 tra i palestinesi e 29 tra gli israeliani. Forse anche quei 29 meriterebbero di essere citati. Forse dovremmo citarli tutti, con nome e cognome, e riempire i nostri giornali solo ed esclusivamente dei loro nomi, magari anche dello loro facce, delle loro storie. Forse solo restituendo a questi numeri una qualsivoglia “fisicità”, qualcosa che letteralmente “occupi spazio” potremmo essere meno distratti e comprendere l’atrocità di questa guerra (come pure di quella, dimenticata, che si combatte in Siria).

 

Uomini e scimmie

Apes-Revolution-Il-pianeta-delle-scimmie

 

Beh, bisogna ammettere che è quasi impossibile non pensare a Gaza, e a questa guerra infinita, vedendo Apes Revolution, l’ultimo capitolo della nuova serie sequel del Pianeta delle Scimmie. Per quanto i due protagonisti, Cesare (Andy Serkys) e Malcolm (Jason Clarke) si impegnino a forzare la “naturale” bellicosità di uomini e scimmie (sopravvissuti a un terribile virus che ha sterminato la vita sul pianeta Terra, che – anche qui – viene mostrata come una “visione dallo spazio”, con le luci del pianeta che si spengono con il diffondersi della morte…), per quanto cerchino di fornire atti di fiducia, di amore, c’è sempre nell’ombra qualcuno che invece sembra preferire la “magnifica semplicità” della guerra come “risoluzione di conflitti”.  Il film diretto da Matt Reeves, sembra partire da presupposti “spielberghiani”, e il modello di riferimento del film, per gran tratti, è assai più E.T. che non il vecchio ciclo delle scimmie di fine anni sessanta. Ma al contrario delle storie del cineasta di Cincinnati, il film non sembra molto ottimista sulle possibilità del cuore e della ragione di prevalere sull’irrazionalità della Storia. E se per un momento possiamo immaginare la “fine del conflitto”, resta quell’inquietante finale – perdonatemi lo spoiler – sugli occhi di Cesare, che non sembrano affatto quelli della “pace a tutti i costi”. Come se anche la scimmia intelligente e dotata di compassione, possa essere attratta dal “lato oscuro della forza”…

apes revolution

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