CANNES 59: ”Transe”, di Teresa Villaverde (Quinzaine des Réalisateurs)

Teresa Villaverde ci regala due ore di raffinato cinema, con i suoi difetti, le sue imperfezioni, con qualche eccesso estetizzante, ma il suo è comunque cinema che sfugge, rifiuta la classificazione, è in transe/trance, è di passaggio come i corpi di tutto il mondo, come la poesia in ogni luogo.

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La quarantenne regista, portoghese di nascita, e’ tra i nomi piu’ risonanti della sezione Quinzaine di quest’anno. Autrice nel 1991 di A idade maior, storia di un bambino a confronto con il vuoto che circonda la figura dei genitori scomparsi in Africa, e di Os Mutantes. In Transe (film dedicato ad Alvaro Marais), una giovane donna, stanca della sua vita di tutti i giorni, decide di lasciare San Pietroburgo cercando altrove la felicita’ e tanti soldi. Ancora una volta, la regista concentra il suo sguardo su personaggi ”sul limite”: questa ragazza (interpretata da Ana Moreira) attraversa l’Europa, partendo dalla Russia per approdare in Portagallo. E’ vittima e preda del traffico di esseri umani: viene venduta come prostituta in Italia (c’e’ anche Iaia Forte in  una piccola parte) e scopre quanto sognare svegli possa essere pericoloso. Viaggio nel contemporaneo che scava nella nuova guerra: quella tra le persone e non piu’ tra i popoli.      

 

Teresa Villaverde ci regala due ore di raffinato cinema, con i suoi difetti, le sue imperfezioni, con qualche eccesso estetizzante, ma il suo e’ cinema che sfugge, rifiuta la classificazione, e’ in transe/trance, e’ di passaggio come i corpi di tutto il mondo, come la poesia in ogni luogo. Cinema ”superato” in cui la macchina da presa e’ scavalcata, capovolta a mano e invertita nelle carrellate sul silenzio della natura, sulla solitudine dell’anima. Le frontiere ”costringono”, il continente e’ attraversato e contenuto nelle stanze, nelle auto, sulle strade che collegano il cinema di tutto il mondo: quello sperimentale, piu’ visionario ed estetizzante, ma anche quello freddo e spietato, quello alienante, ma anche quello che scortica la pelle. Villaverde sa muoversi nella precarieta’ della luce intermittente o assente, della natura rigogliosa o azzerante, della messa a fuoco clandestina. La sua “Babele” e’ una struttura che si (ri)vela costantemente, tra le (i)stanze piu’ belle sempre del passato, che vanno all’indietro, come la bellezza, i sogni, l’incoscienza o il sangue ritornato ghiaccio. Sonia prega per ritornare in patria e chiede il ghiaccio della sua terra, quando un’altra donna nelle sue condizioni vorrebbe aiutarla parlando un’altra lingua. Siamo tutti (in) transe/trance perche’ di passaggio, perche’ terribilmente svegli quando ormai e’ troppo tardi.

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