VENEZIA 68 – "Mildred Pierce", di Todd Haynes (Fuori concorso)

Mildred Pierce
Nella miniserie Mildred Pierce trasmessa negli Stati Uniti dalla HBO, Todd Haynes trattiene il melodramma in favore di un registro realistico e descrittivo, lasciando idealmente a Kate Winslet il campo libero per tratteggiare un personaggio di assoluta forza e credibilità. Per l'attrice si tratta di un tour de force interpretativo che la vede sullo schermo per tutte le cinque ore e mezza della serie. Per il regista il formato televisivo impone la rinuncia ai tratti più sperimentali del suo stile, ma consente al suo sguardo di muoversi lungo coordinate spaziali e temporali mai così vaste

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Mildred PiercePer Todd Haynes affrontare il melodramma è un gesto cinefilo non gratuito; è aggirare i limiti dello stesso immaginario che sta sfruttando e omaggiando. Lontano dal Paradiso spingeva il suo sguardo dietro le quinte del melodramma anni cinquanta da Sirk in giù, dando vita a pulsioni e desideri che quel cinema non poteva rappresentare. Con Mildred Pierce Haynes compie un’operazione affine ma più semplice, evitando il confronto con l’adattamento del ’45 di Michael Curtiz con Joan Crawford per rimanere più fedele all’ambiguità morale del romanzo di James M. Cain. La miniserie in cinque episodi diretta per la HBO è soprattutto un’occasione per dare vita a un’epoca e a un’eroina esplorata in ogni sfumatura.

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Mildred Pierce (Kate Winslet) è una casalinga del sobborgo californiano di Glensdale. Abbandonata dal marito, si ritrova a dover crescere le due figlie nel pieno della Grande Depressione, senza un lavoro e senza risorse. L’ossessione della perdita di status sociale è il fantasma che aleggia su questa storia di sopravvivenza nella crisi, manifestandosi prima nell’incapacità di Mildred di accettare impieghi considerati troppo umili, e poi nel disprezzo della figlia maggiore Veda quando infine accetta un lavoro da cameriera. Pressata dal giudizio della figlia, Mildred decide di mettersi in proprio ma, nonostante un successo commerciale inarrestabile, non riesce a guadagnarsi il rispetto né di Veda né del suo amante Monty Beragon (Guy Pierce), un rampollo decaduto: entrambi sono troppo legati a un anacronistico ideale aristocratico per poter accettare il valore del denaro conquistato col duro lavoro da Mildred (di cui comunque dispongono abbondantemente).

La scrittura della serie sembra tenere conto della crisi economica contemporanea, creando un ponte con le ansie dell’America di oggi e dedicando molta parte della narrazione alla descrizione minuziosa e apprensiva di come Mildred gestisca le sue risorse, dalle iniziali difficoltà nel fare la spesa fino all’amministrazione di una catena di ristoranti. E anche la conflittualità fra la protagonista e gli altri personaggi passa attraverso le relazioni economiche più che quelle sentimentali (non a caso il marito fedifrago rimane comunque una figura positiva). Ma il vero motore drammatico della miniserie è il rapporto tormentoso con la velleitaria figlia maggiore, la cui ostilità verso la madre è una corrente carsica che sgorga impetuosa e irrazionale solo negli ultimi due episodi, in cui la piccola Veda è sbocciata sotto forma di ventenne viziata e pericolosa (una diabolica Evan Rachel Wood).

Mildred Pierce
Gli eccessi della perfidia manipolatrice di Veda spingono finalmente l’ultima parte della serie oltre il confine del mèlo, grazie anche a un vettore potente come l’opera, con le sue arie struggenti e i suoi teatri lussuosi (dopo aver abbandonato la madre Veda si afferma come cantante lirica). Fin qui Haynes aveva preferito il passo quieto del romanzo borghese alle tinte accese del melodramma, quasi per affinità ideologica con la rooseveltiana Mildred e in contrasto con l’aristocratica Veda.
Anche nello stile Haynes sceglie un approccio sobrio e trattenuto, limitando il tocco personale al continuo utilizzo di vetrate a deformare o dissolvere l’immagine dei protagonisti. Per quanto maggiormente impersonale, il medium televisivo gli si offre come qualcosa di tutt’altro che angusto: i fastosi set messi a disposizione dalla HBO consentono al suo sguardo di soffermarsi su infiniti dettagli o di perdersi in eleganti panoramiche, mentre le cinque ore e mezza complessive della serie si prestano a continue dilatazioni narrative in cui il racconto e l’immagine possono respirare. Ma soprattutto è fondamentale che la regia si metta al servizio dell’interprete.

Contrariamente a un’altra produzione HBO come Boardwalk Empire, in cui il nome forte era quello del regista (sebbene Scorsese avesse diretto solo l’episodio pilota), qui è Kate Winslet la star assoluta. Non potrebbe essere altrimenti: presente in ogni singola scena della serie, l’attrice ha il compito di sostenere una forma di totale intimità da costruire con il pubblico episodio dopo episodio; una sfida non semplice anche per un’interprete il cui carisma e la cui bravura sono universalmente riconosciute. Anche questa volta Kate Winslet si rivela all’altezza, soprattutto grazie alla capacità di collocare la sua Mildred in una dimensione di normalità, scantonando la tentazione di farne un’eroina o una martire per restituirci un personaggio pieno di sfaccettature. La forza che sorregge l’intero progetto televisivo di Mildred Pierce è proprio nell’empatia che l’attrice riesce a suscitare.

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