VENEZIA 68 – "Eco da Luogo Colpito", di Carlo Michele Schirinzi (Controcampo Italiano)


L'eco è quella delle voci intrecciate di anziane tabacchine che ricordano i loro anni di lavoro nel tabacchificio, in qualche modo liberate dal tocco delle mani dei ragazzi che vanno esplorando l’edificio, elemento in più del magma sonoro scatenato dalla visita dei giovani di Tricase ad un palazzo del proprio passato, che risvegliatosi sbadiglia e si stiracchia con versi di lamiera. Alla costante ricerca di vie di fuga

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Ha un titolo di grandissimo acume il cortometraggio di Carlo Michele Schirinzi realizzato con gli studenti del Liceo Stampacchia di Tricase, e presentato al Lido nel Controcampo Italiano. Questa Eco da Luogo Colpito, soprattutto con davanti il quadro di Paul Klee, sembra espandersi precisamente dal punto in cui la grossa freccia scura che piomba dall’alto impatta la costruzione nella parte bassa della composizione di Klee: è proprio quello che accade ai suoni della memoria nel film, queste voci intrecciate di anziane tabacchine che ricordano i loro anni di lavoro nel tabacchificio, in qualche modo liberate dal tocco delle mani dei ragazzi che vanno esplorando l’edificio – come se le macerie, le pile di casse, i carrelli, i fogli sparsi per terra come dopo un’Apocalisse in ufficio, le porte, le scale e le scrivanie di legno marcio che restano della fabbrica fossero tante inconsapevoli sculture sonore come quelle di Antonio De Luca, per restare in ambito artistico salentino, che si attivino solo al contatto con un elemento umano, ed estraneo.
Da questo punto di vista Eco da Luogo Colpito somiglia ad una delle esplorazioni del limite tipiche del cinema di un altro dei protagonisti di Venezia 68, Amir Naderi: gli studenti che spaesati vagano come sonnambuli ospiti di una struttura sognata (ad un certo punto uno di loro sembra davvero oppressivamente schiacciato dalle mura del luogo che paiono chiuderglisi addosso, fino a trovare una porticina bassissima in puro stile Alice in Wonderland) sembrano parenti non troppo lontani del ragazzino di Sound Barrier, che rovistava con furia tra decine di nastri abbandonati in un garage alla ricerca della Voce della Madre.
E’ bravissimo Stefano Urkuma De Santis con una partitura elettronica che pare replicare incessantemente gli stridori dei cancelli arrugginiti, il clangore delle porte non oliate, su cui innestare i suoni dei ricordi narrati dalle tabacchine, che si fanno segno uditivo ma mai parola intellegibile, elemento in più del magma sonoro scatenato dalla visita dei giovani di Tricase ad un palazzo del proprio passato, che risvegliatosi sbadiglia e si stiracchia con versi di lamiera.
E la macchina da presa di Schirinzi sembra cercare costantemente vie di fuga, che a volte coincidono con un primo piano di qualcuno degli esploratori, in cui l’obiettivo incappa spesso come fosse un incidente di percorso, una presenza non prevista, ma con maggiore frequenza Schirinzi si libra in movimenti verso l’alto, a scorgere finestre rotte da cui filtrano i raggi di luce, crepe nel soffitto, vetrate che illuminano gli stanzoni. Lasciandoci con una immagine-sintesi superba, il ragazzo che, salito su un monticello di foglie di tabacco ammucchiate contro una parete e oramai totalmente essiccate, riesce a raggiungere un finestrone socchiuso, e da lì sporge il capo per guardare là fuori.

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