VENEZIA 68 – “Qui-pro-quo”, di Elisabetta Sgarbi (Controcampo italiano)

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Un documentario prezioso, per la forma lucida ma non esaustiva, per la capacità di tracciare una strada ancora tutta da inventare, per la  possibilità di parlare del nostro paese ben lontani dagli stereotipi culturali che lo stanno soffocando

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quiproquoQui-pro-quo. Un gioco di parole per sottolineare l’errore di parola, lo scivolamento dei significati e la moltiplicazione dei sensi che sempre le parole propongono. Nel caso di Quiproquo, il film di Elisabetta Sgarbi presentato nella sezione di Controcampo italiano, si tratta del punto di partenza di un viaggio attraverso l’Avanguardia, che inizia, appunto, dalla parola e fa di ogni slittamento possibile il terreno fertile su cui soffermarsi e cercare se qualcosa, tra le pieghe, possa essere sfuggita. “Avrebbe voluto essere un film sull’avanguardia, chiedendo a molti ove essa fosse (stata), ora, in passato, mai più; ove fosse rimasta, sepolta o magari solo dimenticata – e quindi salvata –, sperata, sognata o perfino odiata. O, più semplicemente, studiata. Avrebbe voluto, ma è diventato (anche) altro”, dichiara Sgarbi rivelando con esattezza il percorso tortuoso (e felice) di un film che regala sorprese perché sfrutta con coraggio ogni possibile deriva. Tutto inizia a Ghibellina, nel cuore di una Sicilia che di parole si intende più di ogni altro luogo, a calpestare l’avanguardia di un’opera che si è insinuata nel paesaggio e da esso è stata contaminata. L’idea quindi si fa chiara: cercare sul campo cosa sia rimasto ancora del concetto di avanguardia, e, prima ancora di interrogare gli intellettuali, si cerca tra gli artigiani, gli artisti, gli operai che fanno i mattoni per capire se qualcosa sia rimasto di questa espressione. Cos’hanno in comune la sperimentazione e la tradizione? Cosa sopravvive di quest’ultima ai nostri giorni? Ci può essere avanguardia in un modo antico di fare la ceramica o in un nuovo polimero per costruire case nello spazio? Elisabetta Sgarbi certo non dà risposte immediate, ma il moltiplicarsi delle domande ci accompagna in un lungo percorso di esplorazione appassionante, appassionato e imprevedibile. L’inizio di un discorso che potrebbe proseguire ben oltre la stessa avanguardia (o le avanguardie), per soffermarsi tra le pieghe di un dibattito che in realtà, come si scopre, non può dirsi esaurito.

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Un documentario prezioso, dunque, proprio per la forma lucida ma non esaustiva, per la capacità di tracciare una strada ancora tutta da inventare, per la  possibilità di parlare del nostro paese ben lontani dagli stereotipi culturali che lo stanno soffocando. Molti, si diceva, gli intellettuali chiamati ad intervenire, da Franco Battiato a Umberto Eco da Vittorio Sgarbi a Angelo Guglielmi ed Enrico Ghezzi. Ad essi si aggiungono frammenti significativi del paesaggio italiano,  scorci importanti per restare con i piedi per terra e continuare a percorrere i mille significati di una parola apparentemente tanto abusata.

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