VENEZIA 68 – "Would you have sex with an Arab?", di Yolande Zauberman (Orizzonti)

Would you have sex with an Arab?

Un dialogo incessante con i personaggi della notte di Tel Aviv. Film di idee più che di storie, questo Would you have sex with an Arab?. Una pazza idea, una tentazione. Ma anche un’utopia: opporre alla follia della guerra quella del desiderio, vettore privilegiato di una possibile dissoluzione delle identità. Un'esplorazione della notte come luogo in cui le difese si abbassano e il desiderio può circolare liberamente. Nella speranza che per una volta, al risveglio, il sogno si sia realizzato.

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Would you have sex with an Arab“Faresti sesso con un arabo/a?” è la domanda che la regista Yolande Zauberman scaglia a bruciapelo verso i personaggi che popolano il suo documentario, girato interamente nelle notti di Tel Aviv. Non si tratta di un’inchiesta, ma piuttosto di un’esperimento sociologico: scatenare la reazione di chi, assolutamente impreparato ad attendersi un tale quesito, viene messo di fronte a un argomento tabù. Ma più che la frontiera del proibito, si va a toccare una paradossale rimozione: la prima scoperta dell’autrice infatti è che, nonostante un quinto della popolazione di Tel Aviv sia costituita da arabi palestinesi, la maggior parte della popolazione ebrea tende a far finta che essi non esistano. Per questo molti rimangono stupiti più che scandalizzati. Semplicemente, non hanno mai considerato l’ipotesi. Guardati come traditori dai palestinesi dei territori, e ignorati dai loro concittadini, gli arabi di Israele patiscono la schizofrenia del conflitto permanente. Anche a loro viene rigirata la domanda in una riproposizione speculare: “faresti sesso con un ebreo/a?”

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Le reazioni ottenute coprono uno spettro insospettabilmente ampio. Per molti l’idea di andare a letto col proprio nemico è impensabile: troppo radicata l’ostilità, troppo quotidiana la convivenza con la rabbia. Altri raccontano senza problemi di aver già amato qualcuno sull’altro lato della barricata; avventure spesso complicate e struggenti, raramente a lieto fine. È un’idea che suscita persino paura, ma anche la speranza di un superamento “erotico” della logica del conflitto. Le risposte più rivelatrici sono quelle più ambigue, di mezzo. Di chi parte con un secco rifiuto e poi ci ripensa, e dice che in fondo se non sapesse che si tratta di un arabo, non potrebbe dire di no e il problema non esisterebbe… L’identità non è stampata in volto, e in parte il film è proprio l’esplorazione di un mondo fatto di identità complesse (come è normale per un paese di immigrazione come Israele), persino liquide, costrette a forza dentro etichette necessarie più alla guerra che all’uomo. C’è la signora ebrea di origine algerina che reagisce con sdegno alla domanda, ma poi ricorda con tenerezza la sorella di latte musulmana; ci sono i figli di unioni miste felici, che si sentono ormai oltre le identità, come il famoso attore e attivista Juliano Mer Khamis, autore di un intervento straordinario per lucidità e intensità.

Dunque è il desiderio l’elemento chiamato a far saltare il banco, l’unica forza in grado di demolire gli steccati delle identità e delle etichette. Come ammette uno degli intervistati, il desiderio nasce in pochi secondi, prima di ogni possibile considerazione politica. Quella della notte allora è una scelta strategica e persino ideologica. È il luogo in cui le difese si abbassano, in cui il desiderio e la voglia di vivere si mettono in circolo, è anche il luogo in cui incontrare quella gioventù che, pur vivendo appieno la contrapposizione con il nemico, ha la consapevolezza lacerante di essere soltanto l’erede di una situazione indesiderata e insostenibile. La prima parte del film è fatta quasi esclusivamente di facce che emergono senza sosta, dal buio dei locali, delle discoteche e delle strade di Tel Aviv; ma anche dalla grana di un digitale particolarmente povero e “sporco”, come del resto si addice a una troupe leggera impegnata in una ripresa notturna. Con lo scorrere del tempo il ritmo si allenta leggermente, il racconto si apre a una città finora quasi invisibile, ma la Zauberman predilige comunque la figura umana e le sue passioni, e per questo fa spesso riposare l’incessante contenuto verbale su brevi frammenti di corpi danzanti.Would you have sex with an arab?

Quello aperto dalla regista con i suoi personaggi notturni è un dialogo sfaccettatissimo, ma sempre all’insegna dell’intelligenza, di una volontà di confronto civile e appassionata. Viene quasi da domandarsi dove siano i guardiani dell’identità nella notte di Tel Aviv. All’alba, dopo un rave grandioso ed estenuante, vediamo comparire i primi ebrei ortodossi, si coprono il volto con il copricapo tipico. La violenza affiora come realtà tangibile solo durante i titolo di coda, con un cartello che ci ricorda della brutale uccisione proprio di Juliano Mer Khamis, avvenuta davanti al suo teatro a Jenin, poco dopo le riprese del film. Se questo è ancora il presente, sempre negli stessi titoli le speranze per il futuro vengono fatte esprimere dalle parole elementari, e perfettamente calzanti, di una canzone di Lady Gaga: I want your love I don’t want your revenge

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