VENEZIA 68 – "L'oiseau", di Yves Caumon (Orizzonti)


L’Oiseau è un film sul dolore, sulla difficoltà di superare l’ingiustizia di certi eventi. Sul trovarsi in un punto della propria vita in cui mancano motivazioni e stimoli per andare avanti. La regia di Yves Caumon è lucida ma eccessivamente impersonale. Sembra appoggiarsi completamente allo svolgersi della monotona esistenza di Anne, vive in simbiosi con la sua noiosa apatia. La segue fedelmente, come un osservatore silenzioso e rispettoso. Non ha sussulti, si conforma alla perfezione al carattere del personaggio principale per buona parte del film

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L’Oiseau è un film sul dolore, sulla difficoltà di superare l’ingiustizia di certi eventi. Sul trovarsi in un punto della propria vita in cui mancano motivazioni e stimoli per andare avanti.
Ognuno combatte il lutto a modo suo. C’è chi sceglie di abusare di alcol e droghe, di annientarsi per impedirsi di pensare e di esistere coscientemente. C’è chi si appoggia ad altri, regredendo.
C’è chi invece si svuota di qualsiasi emozione, diventando un guscio vuoto, sposando l’apatia, l’indifferenza, l’anonimato. Come Anne; ragazza giovane e sufficientemente attraente. Lavoro discreto, comune, vita sociale inesistente. Contatti col mondo ridotti al minimo indispensabile. Tutto è abitudine, svolge ogni singola mansione quotidiana come volesse oscurarsi completamente agli occhi del mondo.  In punta di piedi, come una ballerina in un negozio di cristalleria. Come non aspettasse altro che l’arrivo inesorabile della fine. Dopo la morte del figlio di quattro anni e la successiva separazione dal compagno, decide di accantonare tutto ciò che riguarda sentimenti, più in generale sembra immune a qualsiasi tipo di percezione. Scansa le avances dello spigliato e attraente collega. E con esse la possibilità di cambiare lavoro e stile di vita. Semplicemente non è pronta a reagire a determinati impulsi. Si rifiuta di voltare pagina, di concedersi un’altra chance.
La regia di Yves Caumon è lucida ma eccessivamente impersonale. Sembra appoggiarsi completamente allo svolgersi della monotona esistenza di Anne, vive in simbiosi con la sua noiosa apatia. La segue fedelmente, come un osservatore silenzioso e rispettoso. Non ha sussulti, si conforma alla perfezione al carattere del personaggio principale per buona parte del film.
Evidentemente però la situazione di stallo è destinata a sbloccarsi. L’apparizione inaspettata di un uccello (l’oiseau del titolo), costringe Anne a confrontarsi con se stessa. Paradossalmente il pennuto diventa una sorta di animale domestico, la ragazza vi si affeziona e torna a percepire l’importanza del contatto umano, la necessità di sentirsi preda di emozioni reali, imponenti. L’uccello, nelle antiche tradizioni, assumeva il ruolo di messaggero, rappresentazione di anime di spiriti guida. Quel piccolo volatile diventa la bussola di Anne, la scintilla capace di illuminare la strada maestra.
Una menziona particolare la merita Sandrine Kiberlaine, la protagonista. Nell’arco dell’ora e mezzo di film, dirà sì e no dieci battute. La sua inespressività e la sua passività comunicano l’inadeguatezza nell’affrontare il dolore più di mille scatti isterici o pianti. Una prova tutt’altro che agevole.

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