VENEZIA 68 – “Die Herde des Herrn”, di Romuald Karmakar (Orizzonti)

die herde des herrn
Il brulichio emozionale che prende corpo a lato della morte di Giovanni Paolo II e della nomina di Benedetto XVI, captate da un maestro delle forme di vita eccessive al cinema, dello scandaglio delle varie forme di stratificazione dei materiali incontrati (indifferentemente nella fiction o nel documentario) e del lavorio dentro le loro pieghe
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die herde des herrnMaestro nello scandaglio delle varie forme di stratificazione dei materiali che incontra (indifferentemente nella fiction o nel documentario) e del lavorio dentro le loro pieghe, cineasta estensivamente omaggiato a Pesaro una decina di anni fa, Romuald Karmakar arriva finalmente a dare una forma compiuta a materiali tenuti in stand-by in attesa di un montaggio definitivo per circa sei anni.
Nel 2005, infatti, è morto un papa, e se ne è fatto un altro. Karmakar si è piazzato a San Pietro in mezzo alle code oceaniche di persone desiderose di vedere Giovanni Paolo II un'ultima volta; ha testimoniato (sempre lì) il cordoglio dei fedeli subito dopo la sua morte, e ha filmato l'euforia che ha seguito l'elezione di Benedetto XVI nelle strade di Marktl, villaggio natale di Ratzinger.
Ma non li ha affatto montati in quest'ordine. Ha invece fatto precedere Marktl a Roma, per suggerire un movimento di avvicinamento: prima la documentazione del gaio subbuglio di un paese che si prepara a ricevere la luce riflessa del più che mai illustre concittadino da centinaia di chilometri di distanza (il segmento si chiude con Ratzinger alla TV), e poi la luce che rinasce con le preghiere dei fedeli nel luogo stesso dove un'analoga fonte di luce si è spenta per sempre. Morte e resurrezione non avvengono a distanza per decreto mediatico (come avrebbe suggerito un segmento bavarese successivo a quello romano), ma sempre e solo qui ed ora.
Non è quindi la distanza ironica che guida la mano e l'occhio (per non parlare dell'orecchio: di nitidezza assolutamente eccezionale è il sound design) di Karmakar nel cogliere il brulicare improvvisato di gente nel luogo di un significativo accadere, come si può inizialmente pensare quando ci si mette davanti all'ordinario commercio di “tisane Benedetto XVI”, “biscotti Benedetto XVI” e quant'altro. No: si tratta invece di cogliere da molto vicino e in diretta l'evento fuori dall'ordinario, non nella sua frontalità, ma di riflesso, nell'insieme di manifestazioni disperse, più o meno microscopiche, che ne ricevono indirettamente la luce. Negli sforzi sovrumani per poter fare pipì di chi sta in coda a piazza San Pietro, come nell'esaltazione degli astanti di trovarsi più o meno direttamente sotto i riflettori, come in mille altre analoghe occasioni, Karmakar continua a esplorare forme di vita “eccessive”: qui, l'eccesso non è quello morale di Der Todmacher (1996) o la perizia paradossalmente artigianale del DJ cileno Villalobos (2009), ma le scintille poco percettibili che si producono a lato dei fenomeni (la morte di un papa, la nomina di un altro) e che scavano un “di più” dentro il visibile. Scintille che la macchina da presa di Karmakar è straordinariamente capace di captare “in presenza” (in continuità spaziale e temporale), e che il montaggio, nel far susseguire frammento a frammento (con dissolvenze al nero a separarli), abilmente mescola a una ricostruzione temporale più ordinaria.
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