VENEZIA 68 – “Siglo Ng Pagluluwal (Century of Birthing)”, di Lav Diaz (Orizzonti – Eventi)

century of birthing
I “close calls”che Lav Diaz ha scambiato in passato all’interno del suo gruppo di appartenenza, per garantire coesione, e che anche in quest’ultimo saggio filmato ha disseminato, tra sbalzi repentini di rumori, frastuoni e cacofonie, si fanno oggi lentamente richiami disperati alla ricerca del film nel film, del film nel film…. Nella mente non c’è un unico tempo, il passato, il presente e il futuro si scambiano posizione, sotto la sottile e permeabile soglia della coscienza umana, non umana…
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Un artista procede a fatica con la sua opera. Ha in mente una trama che parla di un culto. Il fondamentalismo distruggerà il mondo. Durante la lavorazione l’artista distrugge la sua musa, per poi riscattarla alla fine. Le parole di Lav Diaz: “Homer, il regista protagonista del film dice: “Con il cinema facciamo rivivere i nostri ricordi. Con il cinema possiamo perfino reinventare quei ricordi. Con il cinema ricordiamo il passato, il presente e il futuro… adesso. Il cinema ci riporta al passato, al presente e al futuro… adesso. Grazie al cinema ricorderemo il mondo“. Poi aggiunge: “Cinema significa esistere“.Meditazione sui ruoli dell’artista che parla di due storie apparentemente differenti: una centrata su un regista che ha speso anni a lavorare sulla sua ultima opera, l’altra su un leader di culto cristiano in una regione rurale. Tutto il cinema del grande regista filippino: la frontalità dello sguardo che si muove a volte in modo quasi impercettibile, perché il cinema non è più (solo) movimento. La profondità in quarta dimensione (la quarta, la variabile del tempo, la scorgi senza aiuti tecnologici) con la sua capacità a piantare la macchina da presa, nel punto di snodo dei sogni, delle ambizioni, dei rimpianti. La reiterata e spasmodica preghiera, immergendo metà corpo nelle acque retiniche della diversità culturale, sociale. Spettatori animali non umani possono vedere il mondo con un’acutezza maggiore di quella umana, eppure il loro vedere è segnato da una caratteristica paradossale: lo vedono soltanto con gli occhi. Ecco che Lav Diaz alza il volume fino a distorcere l’audio del suo film (sei ore… brevemente descritte) ed in questo modo non è solo il visibile che guida la mente. Lo spessore digitale è impressionante, riscopre ancor di più il controllo del tatto, una primitiva capacità di composizione. I “close calls”che Lav Diaz ha scambiato in passato all’interno del suo gruppo di appartenenza, per garantire coesione, e che anche quest’ultimo saggio filmato ha disseminato, tra sbalzi repentini di rumori, frastuoni e cacofonie, sono richiami disperati alla ricerca del film nel film, del film nel film…. Nella mente non c’è un unico tempo, il passato, il presente e il futuro si scambiano posizione, sotto la sottile e permeabile soglia della coscienza umana, non umana…     

 

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