“I pinguini di Mister Popper”, di Mark Waters

 
Sarà perché i pinguini diventano (anche) lo splendido, reale, di superficie viva e riflettente, inatteso strumento di derisione, degradazione, ribaltamento dell’ordine. Waters si conferma regista degli stati d’animo: conosce una scorciatoia per la rappresentazione dei sentimenti e trascina lo spettatore in uno strano luogo a metà tra sospensione dell’incredulità e riflessione sul cinema

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Perché sono goffi. Hanno le ali, ma non sanno volare. Rari a vedersi. Molto teneri con le proprie uova. Molto lontani. Esposti a follia latente, per citare l’angoscioso interrogativo rivolto da Werner Herzog a uno scienziato antartico. Per questo ci piacciono i pinguini? Stavolta il pretesto di Mark Waters è un racconto per l’infanzia vecchio addirittura settant’anni (e oltre), ottimo per cavalcare l’onda estiva al ritmo di evocazioni antropomorfe sollevate da personaggi cult come quelli di Madagascar e portate ben oltre il limite dell’animazione. Saranno pure ologrammi, i pinguini di mister Popper. Sarà sofisticata la tecnologia visiva, almeno quanto la capacità del regista di rendere (quasi) invisibile l’inespugnabile gabbia valoriale che circonda questa e altre sue pellicole: la famiglia e l’amore coniugale sopra ogni altra cosa. Sarà il talento di Jim Carrey, sempre più raffinato e schizofrenico, irresistibile anche (o soprattutto?) quando interpreta il buon padre di famiglia (come in I love you Philip Morris), che torna faccia a faccia con gli animali come in Ace Ventura. Ma Waters si conferma regista degli stati d’animo: capace di inanellare una sequenza micidiale di gag a base quasi esclusivamente scatologica, di restituire, in quattro pennellate ben assestate, complicate e riconoscibili dinamiche familiari; in una parola, come dimostrato dalla Rivolta delle ex, Waters conosce una scorciatoia per la rappresentazione dei sentimenti, soprattutto se lo sfondo è la famiglia – sentimenti, caratteri, situazioni che riesce magicamente a far apparire lontani dagli stereotipi, portando lo spettatore in uno strano luogo a metà tra sospensione dell’incredulità e riflessione sul cinema. Sarà perché i pinguini diventano (anche) lo splendido, reale, di superficie viva e riflettente, strumento di derisione, degradazione, ribaltamento dell’ordine: con la scusa degli uccelli marini, Waters fa fuori un ricevimento al Guggenheim, qualche simpatica certezza animalista e il loft a New York che mezzo mondo sogna di comprare…Mentre costringe il protagonista (padre separato e a sua volta trascurato dal proprio padre), per amore dei figli che amano i pinguini, a congelare dentro casa sua, avvolto nelle coperte, perché gli animali possano avere un habitat consono al loro metabolismo. E mentre Popper fa lo slalom tra ostacoli emotivi e relazionali, trascura il lavoro e la sua personale immagine d’arrivo si dissolve poco alla volta: il suo nome, accanto a quello dei proprietari della mega-azienda per cui lavora, scolpito a chiare lettere su una lastra di marmo…la forma di una lapide che, probabilmente, gli spettatori più piccoli non coglieranno.

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Titolo originale: Mr. Popper’s Penguins
Regia: Mark Waters
Interpreti: Jim Carrey, Carla Cugino, Kelli Barrett, Angela Lansbury, Clark Gregg, Madeline Carroll, Philip Baker Hall
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 94’
Origine: USA, 2011

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