“Le regole della truffa”, di Rob Minkoff

le regole della truffaMitigato il cupo cinismo della coppia Jon Lucas/Scott Moore, Minkoff non solo non riesce a confrontarsi con la claustrofobia imposta dalla chiusura del set-banca, ma soprattutto si lascia presto sfuggire l’elemento più interessante del film, quella riflessione nerissima e malinconica sullo sguardo immaturo di un’America che si illude di poter affrontare indenne la sua crisi d’identità
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le regole della truffaL’incipit action e l’esplosiva commedia demenziale, in un rocambolesco e continuo rovesciamento orchestrato all’insegna del cinismo e della contaminazione. La storia d’attrazione/amore tra i due protagonisti che guarda alla screwball comedy. I colpi di scena che puntellano la narrazione fino al suo epilogo. E poi la parte finale, che ritrova il giallo nella sua formula più classica e dove tutti i personaggi diventano i possibili colpevoli. Il tutto dosato in un intreccio a prova di bomba. Come manuale da utilizzare in una lezione di un corso di sceneggiatura Le regole della truffa è a dir poco perfetto. Ma quello che è efficace sulla carta non è detto che funzioni sullo schermo. Rimasta orfana di Todd Phillips, la geniale coppia Jon Lucas/Scott Moore non riesce a far girare la sua scrittura in mano all’anonima e sciatta regia di Rob Minkoff, che si perde in un balletto malfermo di ostaggi, veri e falsi, che continuano a scambiarsi il ruolo con i criminali. Nella sua deriva poliziesca – Ashley Judd e un Patrick Dempsey affetto da un iper-attivismo paranoico si arrabattano per mettere insieme i pezzi del mistero della doppia rapina e scoprire la vera identità dell’assassino che si nasconde nella banca – Le regole della truffa cerca di essere una costola lontana di Una notte da leoni, ma a Rob Minkoff mancano quegli scarti inaspettati e quella spietata lucidità teorica propri del cinema di Phillips. Mitigato il cupo cinismo dei suoi sceneggiatori (oltre all’indifferenza con la quale il film si lascia dietro i suoi cadaveri, rimangono solo due o tre battute degne di nota: l’immancabile dileggio della razza ebraica, una freddura sulla promiscuità sessuale delle carceri e l’elegia funebre recitata da Tim Blake Nelson e Pruitt Taylor Vince, l’improbabile accoppiata di rapinatori idioti, per salutare la morte della “gnocca” del film), Minkoff non solo non riesce a confrontarsi con la claustrofobia imposta dalla chiusura del set-banca e con i tempi comici dei suoi attori, ma soprattutto si lascia presto sfuggire l’elemento più interessante del film. Quella riflessione nerissima e malinconica sullo sguardo immaturo di un’America che si illude di poter affrontare indenne la sua crisi d’identità rimane una promessa ben presto dimenticata e fagocitata da un gioco di simulazione che, sostituendo l’unità d’azione all’esotismo spettacolare dei set, si accontenta di riproporre in chiave farsesca il meccanismo del trascurabile The Tourist
 
 
 
Titolo originale: Flypaper
Regia: Rob Minkoff
Interpreti: Patrick Dempsey, Ashley Judd, Tim Blake Nelson, Mekhi Phifer, Matt Ryan, Jeffrey Tambor, John Ventimiglia, Prutt Taylor Vince, Rob Huebel, Adrian Martinez, Octavia Spencer
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 110’
Origine: USA, 2011
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