“Lanterna Verde”, di Martin Campbell


Martin Campbell assume l’arma del 3D (verrebbe da dire l’anello) con una consapevolezza che nel campo dei superhero movies aveva avuto soltanto il sorprendente Kenneth Branagh di Thor: la tecnologia digitale stereoscopica come mezzo per la materializzazione istantanea dell’immagine-pensiero, che nasce nella testa e prende forma davanti a noi nell'infinitesimale lasso di tempo che va da 0 a 1, e viceversa

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Martin Campbell assume l’arma del 3D (verrebbe da dire l’anello) con una consapevolezza che nel campo dei superhero movies aveva avuto soltanto il sorprendente Kenneth Branagh di Thor, con la sua Asgard di volumetrica tridimensionalità, e il suo eroe che decadeva in un’America piattamente 2D (come a dire, si nasce in 3D e si diventa bidimensionali sullo schermo…), tacendo per bontà invece dello scellerato lavoro di Joe Johnston sul pessimo Captain America, dove il regista non è arrivato mai a capire le potenzialità della stilizzazione futurista di una propaganda da manifesto. Campbell ha dalla sua lo sguardo nervoso del cinematographer di Miami Vice e Collateral Dion Beebe, e un’iconografia, quella del fumetto DC Comics, che già contaminava i topoi del fumetto supereroistico con le situazioni della fantascienza classica: e infatti dal punto di vista del look il film di Campbell non può che rimandare ai più riusciti esperimenti sci-fi delle ultime stagioni di blockbuster, come lo Star Trek di JJ Abrams e la trilogia dei Transformers di Michael Bay, pellicole che saltano alla mente per le caratterizzazioni del pianeta Oa e del mostruoso Parallax.
Sono decisamente bidimensionali sia il tipico script preparatorio da “primo episodio”, firmato a 8 mani dagli autori tv Greg Berlanti, Michael Green, Marc Guggenheim e Michael Goldenberg (niente Haggis o Monahan per questo ottimo cineasta stavolta), che i personaggi della mozzafiato Blake Lively e di Ryan Reynolds, che nell’incipit alla Top Gun però sembra lambire altitudini tomcruisiane per poi preferire andare in stallo. E Campbell ha allora la brillante intuizione di focalizzarsi senza indugio sulla tensione senza posa che si instaura con l’introduzione proprio della terza dimensione, quella puramente immaginifica, che come aveva già capito Alexandre Aja gonfia e storpia i corpi, li deforma mostruosamente: è quello che accade all’Hector Hammond dell’ottimo Peter Sarsgaard (non a caso il caracther maggiormente “tridimensionale” anche al livello di scrittura), il quale dopo essere venuto a contatto con il veleno di Parallax, creatura di CGI, muta spave

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ntosamente in un essere affetto da disumane protuberanze alla elephant man.
Giustamente, cambia pelle per assumere un’epidermide digitale (verde come il green screen) anche l’Hal Jordan di Reynolds, una volta indossato l’anello delle Lanterne Verdi che proviene appunto da un pianeta completamente innalzato in computer grafica com’è la landa di Oa: grazie ai poteri dell’arma, l’uomo è ora in grado di materializzare qualunque oggetto focalizzato dalla propria immaginazione, e che Campbell e Beebe faranno comparire sullo schermo in una verde, squillante volumetria 3D – ecco l’elemento di maggiore interesse del film (e singolarità, date le imprevedibili idee di Hal, che fa spuntare dall'anello piste di corsa di formula 1, pareti di mattoni, aerei e mitra da combattimento, spade e addirittura una grossa bolla piena d'acqua…), la tecnologia digitale stereoscopica come mezzo per la materializzazione istantanea dell’immagine-pensiero, che nasce nella testa e prende forma davanti a noi nell'infinitesimale lasso di tempo che va da 0 a 1, e viceversa (e infatti Parallax ruba letteralmente una dimensione ai corpi, mangiandone la paura come fosse uno scheletro portante, e lasciandoli inermi e riappiattiti sul terreno).

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Titolo originale: Green Lantern
Regia: Martin Campbell

Interpreti: Ryan Reynolds, Blake Lively, Peter Sarsgaard, Mark Strong, Tim Robbins, Angela Bassett

Distribuzione: Warner
Durata: 114'
Origine: USA, 2011

 

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