"40 Carati", di Asger Leth

40 Carati
L’esordiente regista danese Asger Leth affianca due situazioni estreme: l’uomo sul cornicione e la rapina impossibile. Forse non riesce a raddoppiare la suspense; di sicuro tende a comprimere l’energia di un eroe che sembra provenire da un action anni ’80, come del resto gran parte dell’imaginario del film.
Con un astuto aggiornamento: il finanziere rappresenta l’uno per cento; Nick, sostenuto dalla folla, il restante 99

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40 CaratiAppena evaso dal carcere dov’era ingiustamente detenuto, l’ex poliziotto Nick Cassidy (il divo in ascesa Sam Worthington) prende una stanza al 21esimo piano di un albergo di New York e sale sul cornicione. Mentre in strada si raduna la solita folla di curiosi, lui ha un’unica richiesta: parlare con la detective Lydia Spencer (una convincente Elizabeth Banks). Nel frattempo, sull’altro lato della strada, si sta svolgendo una rapina complessa e rischiosa ai danni di un potente uomo d’affari (un Ed Harris perfido e invecchiato).

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Misto di thriller poliziesco e heist movie, 40 Carati colloca Sam Worthington in una situazione non troppo diversa da quella di Avatar: sul cornicione come nella cabina del film di Cameron, il corpo dell’eroe è in una situazione di paralisi. Lì era celato e riprodotto, nel film dell’esordiente regista danese Asger Leth viene esposto come spettacolo pubblico, ma entrambi i personaggi si trovano di fatto a comandare l’azione a distanza. In questo caso la performance dell’attore è all’insegna di una fisicità implosa, lontanissima sia dall’eleganza dei mastermind dei film di rapina alla Steve McQueen (o George Clooney), sia dalla nobiltà torturata degli innocenti perseguitati di Hitchcock. Capello lungo e impomatato, spalle larghe come un armadio, Nick sembra piuttosto il residuo di un action anni ’80, decennio che il film insegue a più livelli, a partire da una fotografia insolitamente sgranata. Per non dire di una sceneggiatura che, planando sugli incroci fra i generi e i salti temporali in voga, ha un cuore d’altri tempi: i colpi di scena scanditi al metronomo, i personaggi incasellati in stereotipi efficienti e naif, i percorsi di redenzione che fanno quadrare tutti i conti.

Più che la rappresentazione della vertigine, descritta con generosi movimenti a precipizio della macchina da presa, risulta allora efficace una sequenza muscolare come la rocambolesca fuga all’inizio del film. E quando il corpo del protagonista riprende libertà per un finale tutto di azione, la natura “anniottantesca” della pellicola emerge e spinge ai limiti la sospensione dell’incredulità: i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, le soluzioni sbrigative fra pugni e riabilitazioni mediatiche istantanee, i gioielli da favola. Con un astuto aggiornamento: il finanziere rappresenta l’uno per cento; Nick, sostenuto dalla folla, il restante 99. Il vero peccato è che questa esuberante ingenuità non sia stata del tutto capitalizzata dal film, e che vada a stridere con momenti in cui sembra prendersi troppo sul serio, o adeguarsi ai formati rigidi delle grandi produzioni.

Titolo originale: Man on a Ledge
Regia: Asger Leth
Interpreti: Sam Worthington, Elizabeth Banks, Ed Harris, Jamie Bell, Mandi Gonzalez, Bill Sadler, Ed Burns, Genesis Rodriguez, Kyra Sedgwick.
Origine: USA 2011
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 102'

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