“Knockout – Resa dei conti”, di Steven Soderbergh


Soderbergh fa il suo film con la campionessa di arti marziali miste (dopo quello con la pornostar), ed è il film che ti aspetti, con scene destrutturate e depotenziate di combattimento, inseguimenti e sparatorie, e un intrigo funky almeno quanto la colonna sonora posticcia finto-Motown di David Holmes, girato come te lo aspetti. E però il cinema rompe ancora una volta la tranquilla scorrevolezza del progetto-Soderbergh con benedetti anacronismi poco funzionali alla struttura e alla scrittura, a volte grossolani, ingombranti, anacronismi a latere di quelli a cui ci piace aggrapparci contro “una certa tendenza del cinema americano”

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"Facevo film quando tu eri ancora in fasce.
Un film è come un bambino: devi farlo crescere,
prendertene cura amorevolmente. Altrimenti
partorisci un robot." – Tsui Hark a Andy Lau, A simple life

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La resa dei conti di Soderbergh prevede che Michael Fassbender sembri un allampanato idiota in abiti eleganti e perenne paresi sorridente in faccia, soffocato nel corso della colluttazione con la protagonista proprio dal bassoventre di lei, che gli stringe la testa tra le cosce sul letto matrimoniale. No Shame. Niente New York New York stavolta, Michael. Bene così. Soderbergh fa il suo film con la campionessa di arti marziali miste (dopo quello con la pornostar), ed è il film che ti aspetti, con scene destrutturate e depotenziate di combattimento, inseguimenti e sparatorie, e un intrigo funky almeno quanto la colonna sonora posticcia finto-Motown di David Holmes, girato come te lo aspetti, con i falsi raccordi, i mille filtri sull'obiettivo, le sporcature varie ed eventuali (zoomate repentine, scavallamenti dell'asse, flashback sballati…).

E però c'è quel cervo. Un'apparizione che forse descrive lo stato di Hollywood meglio di cento editoriali e mille parole. Un cervo in CGI. La sequenza è quella di un inseguimento automobilistico in mezzo alla foresta, com'è d'uso girarli al giorno d'oggi, ovvero senza uscire mai con la mdp dall'interno dell'abitacolo del mezzo. La nostra protagonista per fare marcia indietro guarda dunque in macchina, abbracciando correttamente il sedile del passeggero. Nel momento in cui torna a guardare davanti a sé, non nota che un cervo in piena corsa sta per impattare contro il lunotto posteriore della vettura: cosa che puntualmente avviene, mandando il vetro in frantumi, uccidendo l'animale (tranquilli, è aggiunto al computer), il cui corpo esanime finisce per metà sul sedile posteriore. “C'è un cervo morto nell'auto!”, urla il compagno d'avventura dell'infallibile Gina Carano. “L'ho visto”, fa lei, e ferma la macchina. Assolutamente gratuito, inutile, inspiegato: magnificamente superfluo. Nella corsa che non sapremo mai, nell'attraversamento del film di quel cervo finto c'è tutto un interstizio dove continua a lavorare un cinema che non si sente ossessionato dal dover essere presente (a chi, poi? a noi? a se stesso?), come al contrario era il precedente Contagion (film-prototipo di questa stagione), e nemmeno ha già deposto le armi per pagarsi la retta in un ospizio di Artist(s) insieme a Melies. Quell'animale proveniente chissà da dove, che finge la sua imprevedibilità per poi subito dopo testimoniare al contrario la propria funzionalità di post-produzione digitale, è un anacronismo di quelli a cui ci piace aggrapparci contro “una certa tendenza del cinema americano”: anacronismi che infastidiscono la tranquilla scorrevolezza del film, poco funzionali alla struttura e alla scrittura, a volte grossolani, ingombranti – come il cavallo di Spielberg, la sorella di Adam Sandler, il 3D di Coppola, la cabina telefonica che non esplode di M:I 4, il make up esibito e palese di J.Edgar, gli amici cinematografari di Andy Lau.
In questi meravigliosi anacronismi a latere sta il cinema, una macchina “vecchia” di un secolo e più che ci ostiniamo a voler pensare leggera quando forse dovremmo invece sentirne maggiormente il peso.

Ecco, nessuno capisce quanto sia “pesante” Soderbergh, soprattutto quando vuole essere scoppiettante e veloce, come in questo caso: Antonio Banderas pensa forse di stare in un film del suo compare Robert Rodriguez (e magari non ha tutti i torti), ed è così che si rivela come l'attore che meglio di tutti calza al progetto Knockout. Si prende il tempo di assaporare il suo sigaro, poi pronuncia l'imprecazione per i titoli di coda. Certo, è chiaro, è facile da dire, prevedibile da accettare: Knockout è un film brutto e rachitico come altri di Steven Soderbergh.
Solo che parecchi film di Hollywood, recenti e recentissimi, esaltati e lodati un po' dappertutto, hanno iniziato a somigliare sempre di più e pericolosamente a vecchie idee di Soderbergh: Ewan McGregor sulla spiaggia finisce con la gamba incastrata inesorabilmente tra gli scogli. E la marea comincia a salire.

Titolo originale: Haywire
Regia: Steven Soderbergh
Interpreti: Gina Carano, Ewan McGreror, Michael Fassbender, Michael Douglas, Antonio Banderas, Channing Tatum, Bill Paxton
Origine: USA, 2012
Distribuzione: Moviemax
Durata: 93'

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