"Diaz", di Daniele Vicari

claudio santamaria in una scena di Diaz
Daniele Vicari, con gli eventi tragici del G8 di Genova del 21 luglio 2001, potrebbe volgersi nelle zone che conosce molto bene, quelle del documentario. Ma le migliaia di filmati che stanno anche in rete, le migliaia di pagine di atti processuali, sono solo gli oggettivi elementi di partenza di un film che non vuole più documentare ancora una volta, ma ricreare proprio quella cronaca sui video già esistenti, sulle pagine già scritte, sulle testimonianze

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claudio santamaria in una scena di DiazNel buio della notte. Non in quel grigiore rassicurante di Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana, esempio di 'cinema civile' dove sono gli attori con le loro maschere – Mastandrea/Calabresi o Favino/Pinelli – gli elementi trainanti. Diaz va in un'altra direzione. I protagonisti sono come dei lampi che appaiono e annegano nella folla, dal giornalista interpretato da Elio Germano agli occhi improvvisamente allucinati davanti a quello che sta vedendo del poliziotto Claudio Santamaria dentro la scuola Diaz. Daniele Vicari, con gli eventi tragici del G8 di Genova del 21 luglio 2001, potrebbe volgersi nelle zone che conosce molto bene, quelle del documentario. Ma le migliaia di filmati che stanno anche in rete, le migliaia di pagine di atti processuali, sono solo gli oggettivi elementi di partenza di un film che non vuole più documentare ancora una volta, ma ricreare proprio quella cronaca sui video già esistenti, sulle pagine già scritte, sulle testimonianze.

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Quindi ridoppiare, ripassare sopra al G8 di Genova, attraverso più storie, vicende personali, che partono separate e poi convergono verso un unico punto, un unico luogo: Luca, il giornalista della Gazzetta di Bologna arrivato a Genova; Alma, la ragazza tedesca che decide di occuparsi delle persone disperse dopo gli scontri assieme a Marco e Franci, rispettivamente un organizzatore e un avvocato del Genoa Social Forum; Nick, un manager in città per seguire un seminario; Anselmo, un vecchio militante della CGIL; Etienne e Cécile, due anarchici francesi; Max, un vicequestore aggiunto del 1° reparto mobile che vorrebbe tornarsene a casa dalla sua famiglia; Bea e Ralf, di passaggio in città, che decidono di fermarsi alla scuola prima di ripartire. Prima ci sono le loro vicende, anche troppo descritte, forse per evidenziare i loro volti nella folla. Poi, dopo l'attacco della polizia, diventano qualcos'altro. Come mutanti, trasformati dagli scarponi degli agenti e dai manganelli, lì nel buio, con una tensione degna di un ottimo thriller statunitense mescolato a quel clima irrespirabile di una pellicola sudamericana (argentina?) contro la dittatura. Al contrario del film di Giordana i volti sono sommersi, galleggiano appena e poi sono come sott'acqua, inghiottiti da un baratro dove gli spazi (non solo la Diaz ma soprattutto la caserma di Bolzaneto) si trasformano in qualcos'altro. Eppure Santamaria e anche Alessandro Roja restano altri esempi di un momento felice per gli attori del nostro cinema. Ma in Diaz, si vedono, si separano dai personaggi, solo dopo un percorso razionale, oltre il film. jennifer ulrich in diaz

Diaz sembra davvero un film poco italiano, nonostante  qualche stonatura, tipo quelle nel modo di filmare le alte sfere in polizia come se ci fosse ancora un debito da pagare con un altro cinema civile italiano, ad esempio Cadaveri eccellenti di Rosi. Forse nell'impeto con cui Vicari gestisce più storie, più di rabbia che di testa, eppure tutto arriva efficacemente addosso, nelle diverse lingue che a un certo punto si confondono e che però hanno un suono simile nella loro paura, nel loro agghiacciato terrore. E se il ralenti della bottiglietta che cade, nella sua ripetizione, può mostrare qualche ridondanza, dall'altra però lascia di sasso il modo con cui è mostrato l'ingresso dentro la Diaz e poi i fatti di Bolzaneto. Sembra quasi, tornando 11 anni indietro, che ci sia una videocamera delle vittime che stavolta riesce a filmare tutto. Esempio allora di un cinema efficacissimo, di impatto, fisico, dove si sentono i volti tumefatti, le manganellate, il sangue in bocca. A differenza di Romanzo di una strage qui appunto il sangue non si è seccato sulla pellicola, ma è ancora fluido. Ancora le sue tracce sui muri, sull'asfalto della strada. Genova come una "città senza nome" di un western. Dove il cinema di Vicari parte come l'auto in corsa di Velocità massima, prima più piano poi prende velocità, sbanda e si rimette in corsa. Con dentro tutta la rabbia e lo sdegno di un cinema che finalmente non vuole riequilibrare ma che sa da che parte stare.

una scena di Diaz
Si può obiettare e dire: "Emotivamente Diaz coinvolge, ma poi forse non si è lucidi nel giudicare". Si, ma questo è una vecchio modo di fare critica, magari più professionale ed esemplare, più una logica da portavoce di Partito che prende i bilancini, cerca di capire le ragioni di uno e dell'altro e poi non vuole scontentare nessuno. Altro limite che può avere oggi il cinema italiano civile, quello proprio salvato dagli attori. Diaz invece può ripartire idealmente dal bellissimo documentario di Francesca Comencini, Carlo Giuliani, ragazzo, e ripassare sopra  questa pagina nera della nostra Storia recente. Con uno sguardo, quello di Vicari, che mai come in questo caso, è sbigottito, tramortito, incazzato davanti a quello che inquadra proprio mentre sta filmando. Ed è per questo che stavolta il suo cinema ha due palle grandi così.

Regia: Daniele Vicari

Interpreti: Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich, Elio Germano, Davide Iacopini, Ralph Amoussou, Fabrizio Rongione, Renato Scarpa, Paolo Calabresi, Alessandro Roja, Rolando Ravello

Distribuzione: Fandango

Durata: 120

Origine: Italia/Francia/Romania, 2012

 

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    4 commenti

    • e dunque? Vicari materializza la tangibilità di una strage, ne riverbera la crudeltà nella memoria (mai sopita per quanto censurata) moltiplicando i colpi negli sguardi degli spettatori, rivitalizza la rabbia e la sete di giustizia legale/processuale (vogliamo i nomi – capri espiatori) ma poi lascia al caso tutta questa energia in esplosione? il colpo allo stomaco mi lascerà solo una conferma del trauma visivo (sinestetico?) o mi permetterà di aggiungere un tassello alla comprensione di un mosaico macroscopico che è la tensione economica-socio-culturale-istituzionale- ecc… che percorre i tempi? Giordana "razionalizza", tenta un contesto e una tesi (magari non notissimi) su cui riflettere senza abdigare alla rappresentazione/sensazione di sopprusi e violenze connaturate alla storia italiana, fornisce quello che si direbbe un contributo alla "comprensione" (e non alla memoria sterile) vero valore aggiunto di un sedicente cinema civile! e Diaz di Vicari?

    • Alla fine uscirai dalla visione come se avessero manganellato e umiliato anche te, e ti chiederai: ma come è stato possibile? Come hanno potuto permettere che accadesse tutto ciò? E non c'è tesi da esporre o nomi da fare, perchè la violazione del diritto è già tutta lì, in quelle manganellate, in quei corpi martoriati, in quel sangue sul pavimento

    • MarcelleriaMarleo

      I miei trentanni, la scuola Diaz e il film di Daniele Vicari.

      http://macelleriamarleo.wordpress.com/2012/04/14/diaz-dont-clean-up-this-blood/

    • Bella recensione. Su un punto non sono d'accordo. Non è ridondante la bottiglia che viene lanciata e si rompe. Quella bottiglia è il punto d'incontro di tutti quei destini narrati nel film. Ma soprattutto fu l'appiglio usato dalla polizia per giustificare l'irruzione. Tornare di volta in volta alla bottiglia serve a ritornare sul filo di un ragionamento, a non farsi prendere troppo dalle emozioni, serve a capire lucidamente quale fu il banale, fragile e inesistente motivo di quella mattanza. "Tutto questo per una bottiglia" dirà la poliziotta. Quel lancio di bottiglia è anche agli atti del processo.