"Il primo uomo", di Gianni Amelio

Il primo uomo centra in pieno il punto della complessa riflessione camusiana apparendo storicamente e filosoficamente ineccepibile, ma perde troppo in afflato epico ed emozionale per tutta la lunga prima parte. È solo nell’ultima mezzora che Amelio riesce a liberarsi da una narrazione lievemente agiografica scavalcando in un sol colpo l’ultima fase della sua carriera (da Le chiavi di Casa a La stella che non c’è) per donarsi alla pura gioia di filmare un viaggio a ritroso verso il momento stesso della nascita

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Il primo uomo

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Certo il compito era arduo. Adattare l’ultimo romanzo autobiografico di uno dei filosofi centrali del Novecento per scontrarsi con una ferita lontana – sono passati più di 50 anni dalla guerra d’Algeria – ma ancora vivissima nella coscienza francese, coprendo due epoche storiche del Paese nordafricano: gli anni ‘20 e gli “esplosivi” anni ‘50. Gianni Amelio cerca di scalare questa montagna, come un novello Sisifo di camusiana memoria che si approccia ad un gigante passato per misurare sul campo le proprie forze. Ma, a pensarci bene, il cinema di Amelio (almeno da Il ladro di Bambini in poi) è sempre stato cinema di viaggio, cinema di mo(vi)menti rubati alla consapevolezza intima di un cambiamento. E allora appena dietro questo primo uomo Camus, ne intravediamo un altro, il secondo uomo Amelio che racconta la sua origine (molti dei dialoghi tra il bambino e la madre, a detta dello stesso regista/sceneggiatore, sono dei suoi veri ricordi nella Calabria degli anni ‘50), il suo rapporto con il mondo adulto, con il bene e con il male. La parte dedicata all’infanzia dello scrittore Jean Cormery (alter ego di Albert Camus) è il film “alla Gianni Amelio”, pieno di piccoli momenti di vita e atti che segnano una crescita. Mentre la parte dedicata a Cormery adulto che torna in Algeria in piena lotta di liberazione è il film dedicato alla figura storica, all’uomo in rivolta.

Amelio tenta di rendere (giustamente) complesso un discorso che troppo spesso è stato ridotto a una schematica lotta ideologica: chi per il colonialismo e per il governo francese, chi per gli algerini e per la liberazione delle terre africane dal giogo europeo. E la posizione di Camus (mai semplice per definizione e per questo spesso mal interpretata) viene piazzata al centro della riflessione concettuale del film: contrarietà al colonialismo e adesione ai valori della resistenza, ma non a scopo di una lotta armata, non a scopo di far sgombrare i coloni (tra cui, ovviamente la sua stessa famiglia) tantomeno con la violenza. È questo il senso profondo della famosa frase: “tra la giustizia e mia madre, io scelgo mia madre!”. Utopia camusiana – consapevolezza dell’assurdo, dell’impossibilità di fondere desiderio e vita – che lo rende di per sé un sublime straniero. Ecco: se il film di Amelio centra in pieno il punto del ragionamento di Camus apparendo storicamente e filosoficamente ineccepibile, perde però in afflato epico ed emozionale almeno per tutta la lunga prima parte. È come se il regista avvertisse una sorta di timore reverenziale per il testo di partenza, nei confronti di un ingombrante retroterra che prende il sopravvento sulle inquadrature e le svuota di passione filmica. È solo nella seconda parte (dal bellissimoIl primo uomo incontro in carcere tra un padre algerino e un figlio terrorista) che il film riesce a scacciare la narrazione lievemente agiografica facendosi improvvisamente “cinema”: campo e controcampo senza respiro, diviso da inferriate, un primo piano insistito e astrattivo che riconsegna vibrante tensione umana.

E poi il piccolo Jaques che cammina verso il mare come l'Antoine Doinel di Truffaut, osservando sua madre innamorata o sua nonna sospettosa, capendo tutto, ma andando avanti trascinando la macchina da presa con sè in un lungo e baziniano piano sequenza…è una scena che vale l’intero film. Amelio, nei minuti finali, scavalca in un sol colpo tutta l'ultima fase della sua carriera (da Le chiavi di Casa a La stella che non c’è) rinchiusa un po’ troppo in un calcolato formalismo minimalista e si dona alla pura gioia del filmare l'intimità di un uomo, il suo struggente sguardo d'amore verso la madre. Ecco che il film dalla valenza biografica (per Camus) e autobiografica (per Amelio) raddoppia il percorso interno di Cormery muovendosi verso un'ostinata ricerca di purezza nella genesi (il primo uomo…), del momento stesso della nascita da contrapporre alla complessità delle sovrastrutture politico/sociali. Perché se il problema filosofico di Camus è sempre stato il capire se la vita valga o no la pena di essere vissuta, allora bisogna ritornare alle origini, alla purezza del qui e ora, al chiedersi semplicemente se quest’inverno “staccheranno o meno la luce in casa nostra”…

Regia: Gianni Amelio

Titolo originale: Le premier homme

Interpreti: Jacques Gamblin, Catherine Sola, Maya Sansa, Denis Podalydès, Ulla Baugué, Nicolas Giraud, Nino Jouglet

Origine: Italia, Francia, Algeria, 2011

Distribuzione: 01

Distribution Durata: 98'

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    Un commento

    • orietta maninetti

      bello, da vedere perchè è importante avvicinarsi ancora una volta al problema filosofico di Camus "se la vita vale la pena di essere vissuta, " e in questo film Amelio risponde.con le parole semplicii" staccheranno o meno la luce in casa nostra"