"I bambini di Cold Rock", di Pascal Laugier


Il film di Pascal Laugier è una vera e propria trappola narrativa ai danni dello spettatore, un esercizio di scrittura che si rigenera ogni mezz’ora per giungere a una rivelazione finale che non sconvolge quanto vorrebbe. Stimoli e suggestioni non mancano, ma I bambini di Cold Rock rimane vittima di una struttura talmente rigida da ridurre tutto il suo potenziale in qualcosa di vacuo ed effimero

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C’era grande attesa per il ritorno di Pascal Laugier, a tre anni di distanza dal discusso e controverso Martyrs; anni in cui il regista francese è stato eletto come uno dei nomi di punta della rinascita dell’horror transalpino, e in cui è stato dapprima fagocitato e poi respinto dal sistema hollywoodiano (il remake di Hellraiser, ancora oggi in fase di stallo). Tornato prepotentemente con i piedi per terra, Laugier ha tirato fuori dal cassetto una sua vecchia sceneggiatura (successiva a Saint Ange) per realizzare con I bambini di Cold Rock un progetto fortemente voluto e personale, che presenta diversi punti in comune con l’opera precedente ma dalla quale si discosta in maniera netta sul piano visivo.

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Parlare degli eventi del film senza anticipare nulla che possa rovinare la visione, è impresa praticamente impossibile: come Martyrs, infatti, la struttura narrativa è suddivisa in tre atti, ciascuno dei quali rimette in discussione quanto mostrato nel precedente. Al centro della vicenda risiede il Tall Man del titolo originale (fiabesco e suggestivo, decisamente migliore di quello italiano), una figura misteriosa responsabile della sparizione di molti bambini di Cold Rock – una cittadina che Laugier rappresenta attraverso un’ottica puramente Kinghiana, a partire dal nome; un luogo in disfacimento (morale, economico) e senza futuro per i suoi abitanti. Di più, è meglio non raccontare. Dopo un horror viscerale, imperfetto e vivo come Martyrs, tutto incentrato sulla rappresentazione della violenza e sul significato che essa ha ormai assunto nella società delle immagini, il regista stavolta lavora di sottrazione, negando man mano la componente “di genere” affidandosi ai numerosi colpi di scena che contribuiscono a costruire, tassello dopo tassello, il disegno di insieme della pellicola; in questo modo però Laugier soffoca e imprigiona il suo film all’interno di una struttura troppo rigida, privandolo di quella libertà espressiva che tanto aveva colpito nella sua opera precedente. Nonostante un talento visivo oggettivamente indiscutibile (occhio al piano sequenza di Jessica Biel che esce dalla casa, attorniata dai fotografi: bello, ma forse non fondamentale), tutto appare terribilmente succube della sceneggiatura: I bambini di Cold Rock è un racconto subordinato fino all’inverosimile alla logica del twist-ending, che utilizza lo spettatore come cavia di una messa in scena così sfarzosamente pensata che, una volta raggiunto il suo obiettivo, sembra quasi non trovare una vera e propria ragion d’essere. Anche perché l’idea alla base del film, “spiegata” solamente nella parte finale, non brilla decisamente per originalità né per portata deflagrante. Va comunque dato atto a Laugier di non essere interessato alle soluzioni facili e accomodanti, tant’è che proprio nell’ultima inquadratura è molto bravo a instillare il dubbio e ad evitare le trappole pericolose del film “a tesi”, suscitando una genuina inquietudine che ci riguarda tutti, nessuno escluso: ma per farlo era davvero necessario costruire una trappola narrativa lunga tutto un film?

 

Titolo originale: The Tall Man

Regia: Pascal Laugier

Interpreti: Jessica Biel, Jodelle Ferland, Stephen McHattie, William B. Davis, Eva Harlow

Distribuzione: Moviemax

Durata: 100’

Origine: Canada/Francia/USA, 2012

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    3 commenti

    • Smettetela di disprezzare il lavoro degli sceneggiatori, non se ne può più di questa dozzinale e mortificante mancanza di rispetto. La sceneggiatura è parte integrante di un'opera tanto quanto la regia, eppure più è potente più la considerate una camicia di forza. Stroncate il film di Laugier per lo stesso motivo per cui stroncate per partito preso qualsiasi film di Christopher Nolan. La vostra idea di cinema è caotica, forse libertaria ma certamente non rigorosa e professionale. Siete veramente infantili.

    • Ah, peccato. La stagione dell'horror francese sta peggiorando? Anche Livid di Bustillo e Maury è veramente involuto rispetto a A l'interieur!

      @corvo, chiamare in causa Nolan mi pare inutile. Non ho ancora visto questo film di Laugier, ma una cosa è certa: Nolan può anche scordarsi per l'intera vita di girare un film pure imperfetto, ma tanto potente e interessante quanto Martyrs. Nolan dirige col soprabito e la sciarpa al collo… letteralmente e metaforicamente 🙂 Herzog gli direbbe di fare un po' di fatica fisica, forse diventerebbe più emotivo

    • Giacomo Calzoni

      Per Corvo: innanzitutto Laugier con Nolan che ci azzecca?
      E poi: la recensione non mi sembra una stroncatura in toto. Nessuno denigra il lavoro degli sceneggiatori (lo stesso Laugier, in questo caso): semplicemente, in questo caso la costruzione mette in secondo piano i contenuti, e non mi sembra una bella cosa. Ma è una mia opinione, non necessariamente condivisibile. Saluti