FESTIVAL DI ROMA 2011- "Project Nim" di James Marsh (Extra – L'altro cinema)
Un cucciolo di scimpanzé tirato su come un neonato da una ricca famiglia hippy e da una serie di insegnanti che devono fargli apprendere il linguaggio umano attraverso i segni. E' questo il progetto Nim, ideato da un ambizioso professore della Columbia nei primi anni '70. James Marsh torna, dopo Man on Wire, con un documentario rigoroso e atipico, che affascina e commuove senza facili moralismi. Uno sguardo incredulo e commovente sull'egocentrismo umano
Nel novembre del 1973 nasce uno scimpanzè in un centro di ricerche sui primati, in Oklahoma. Si chiama Nim. Pochi giorni più tardi il piccolo viene portato via dalla mamma e affidato ad una nuova mamma, Stephanie LaFarge, ricca hippy convinta di poterlo allevare come fosse uno dei suoi – numerosi – figli, che abitano con lei nell’Upper West Side a Manhattan.
È l’inizio del progetto Nim, ideato e portato avanti dall’ambizioso Herb Terrace, professore di psicologia comportamentale alla Columbia. Il proposito scientifico è quello di dimostrare che uno scimpanzè può imparare il linguaggio umano attraverso i segni se allevato tra umani, come fosse un bambino.
James Marsh torna a raccontare una storia incredibile con la stessa attenzione e profondità di Man on Wire.
Solo che, mentre Man on Wire era la storia straordinaria di un’impresa prodigiosa e dell’uomo che l’aveva cocciutamente voluta, mettendo sé stesso e la propria vita in gioco, Project Nim è la ricostruzione di un esperimento improbabile quanto crudele, tanto più per l’ostinazione con cui è stato protratto negli anni.
Ci racconta Marsh attraverso materiale di repertorio e interviste a quelli che furono i protagonisti della vicenda, che con il passare del tempo Nim diventa sempre più grosso e più difficile da gestire. L’ossessiva anticonvenzionalità e il roboante rifiuto delle regole, con cui Stephanie ha impostato la sua vita e quella dei suoi figli, non funzionano. Nim viene portato via e affidato, nel corso del tempo, ad una serie di insegnanti – nella maggior parte dei casi si tratta di donne giovani in qualche modo coinvolte sentimentalmente con Terrace, come la stessa Stephanie – che ciclicamente riescono nel loro intento fino ad un certo punto, ma poi falliscono e devono per forza – a volte per via della violenza improvvisa dell’animale – desistere.
Cauto, quasi premuroso nell’esposizione dei fatti e nella registrazione delle opinioni, James Marsh sembra aver paura di cedere alla trappola del moralismo, del j’accuse animalista.
E di moralismo, almeno di quello fine a sé stesso e aprioristico, non c’è traccia. Project Nim è un documentario rigoroso per l’onestà con cui parla e lascia parlare. La rigidità, l’intransigenza è altrove, ed è lo spettatore a doversene accorgere: è nella voce e negli occhi cinici di Terrace, e in quelli ottusamente sbalorditi dei suoi aiutanti, tutti ugualmente sostenuti dal sacro, assurdo e incosciente fuoco dell’antropocentrismo. Come impara la ragazzina di La volpe e la bambina, cercare di imporre sé stessi – il linguaggio umano, la sua presunta superiorità – sugli animali, porta ineluttabilmente alla tragedia. Solo che Nim non è una favola, ma una realtà. E quello che colpisce è l’indecente inconsapevolezza di tutte le persone coinvolte nell’esperimento. Tutte assolutamente convinte di aver agito per il meglio, certe dell’efficacia e dell’intima bontà del proprio lavoro su Nim. Piangono, si commuovono, si arrabbiano davanti alla macchina da presa. E sono sincere. Sincere nel dolore narcisista che, dopo più di quarant’anni, continua ad ottenebrarne le menti, impedendo loro di fare l’unica cosa che realmente dovrebbero fare: accettare di essersi sbagliati, ammettere le loro colpe.
Marsh li riprende con inquadrature lunghe e rispetta i loro tempi, mantiene le loro pause. Come se volesse lasciar loro ancora un po’ di tempo, una sospensione del giudizio in attesa di capire. I primi piani larghi sui volti degli scellerati e, in fondo, innocenti perché incapaci di capire, protagonisti – di un'epoca, gli anni '70, che forse è più di tutti protagonista e artefice di questo dramma dell'arroganza – si alternano a campi più spaziosi, con la mdp che arretra dolcemente per concedere, ancora, spazio e tempo all'umana imperfezione.
L’effetto è drammatico, e Project Nim, oltre ad essere un documentario ben fatto è più di ogni altra cosa un racconto sull’egocentrismo e sulla crudeltà distratta: sull’anima nera del mondo civilizzato.
Coinvolgente e originale, a tratti diverte, nonostante l’intima tristezza: il progetto di Marsh affascina e spezza il cuore.