TORINO 29 – "Los Viejos", di Martìn Boulocq (Onde)

Abitare la memoria. Farla (ri)vivere attraverso le varie texture dell’immagine, come una stanza degli specchi wellesiana che non sa concepire orizzonti. Il terzo, magnifico, lungometraggio del giovane boliviano Martìn Boulocq trabocca di superfici riflettenti (specchi, vetri, acqua) che come cristalli di memoria aprono lo schermo agli abissi di una coalescenza tra presente, passato e futuro. Dal privato di un uomo all’universale di un popolo senza più confini o parole…

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Los Viejos

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Abitare la memoria. Farla (ri)vivere attraverso le varie texture dell’immagine, come una stanza degli specchi wellesiana che non sa concepire orizzonti. È questo che configura Los Viejos, magnifico terzo lungometraggio di Martìn Boulocq: la memoria privata di To?o, giovane boliviano che torna dopo anni nella sua terra, fusa alla memoria collettiva di un popolo che ha vissuto straordinari rivolgimenti politici durante gli ultimi cinque decenni. Senza parole, solo con l’immagine: di repertorio in apertura del film (la Rivoluzione “che non è un pranzo di gala” e le sue conseguenze negli occhi e nei corpi della gente) e poi l’estasi pittorico/digitale di un presente sempre più perturbante e impenetrabile. Il giovanissimo regista (che non a caso è anche un apprezzato fotografo) immerge il suo film in una dilatazione temporale spintissima che solo in apparenza si tramuta in compiaciuta staticità diegetica: in realtà il movimento è perennemente cristallizzato in un’inquadratura magmatica che si tramuta sempre (sin dal primo, splendido, piano sequenza sul vetro dell’auto) in sguardo vivo. Il film trabocca di superfici riflettenti (specchi, vetri, acqua) che come cristalli di memoria aprono lo schermo agli abissi della coalescenza tra presente/passato/futuro in una “politica” stratificazione dell’immagine. Creare spazio nella staticità: è qui che il digitale viene intelligentemente utilizzato nella sua peculiare capacità di sfondare il campo, di far vivere l’immagine nei suoi diversi strati e fuochi. Una dinamica che non può non far venire in mente Alexandr Sokurov, evidentemente un punto di riferimento imprescindibile per Boulocq. Quello smarginare dell’immagine distorta e (s)filtrata di stampo sokuroviano (che configura la struggente memoria sentimentale in Madre e Figlio e Pare e Figlio) sottolinea qui i momenti che To?o passa con il vecchio zio morente: l'ennesimo “viejo moloch” da abbattere. Il quadro è costantemente dominato da vegetazione, vallate, montagne o palazzi sempre filtrati da vetri riflettenti che doppiano il Cinema come elemento costruttore di un nuovo reale.

  

Los viejosBoulocq usa l’immagine cinematografica come uno scalpello e usa il tempo storico come il marmo, per realizzare pazientemente la sua scultura complessa. Non è più la narrazione che si fa metariflessione sui propri meccanismi, ma è il cinema che si fa già a priori riflessione ontologica sulla sua natura di arte della memoria. Una memoria che squalifica la sopravvalutata parola come elemento descrittivo, rifugiandosi in un (in)visibile che “racconti” di una Bolivia terra di libertà tradite e divisioni familiari. To?o è l’eroe romantico che torna a combattere i propri fantasmi, costretto a espatriare perché probabilmente contrario al regime, ma più ancora perché ha provocato “vergogna” alla famiglia. E nel momento della confessione privatissima al vecchio zio immobilizzato è il cinema che universalizza il suo discorso: l’inquadratura è una soggettiva a cui solo noi spettatori assegneremo uno sguardo, perso e confuso nel paesaggio dominato da elementi fluidi (acqua, nebbia, nuvole) che configurano il regno della pulsione ferina. La lacrima che sgorga dall’occhio spento del vecchio morente è una pennellata di selvaggia emotività compressa che detona dall'inquadratura…e poi improvvisi echi lynchani (la televisione accesa che si intrufola nella stanza come dimensione ulteriore), associati ad una composizione che a tratti ricorda le infinite astrazioni di Apichatpong Werasetakul. Fertile tensione che si risolve in un finale di morte “creatrice” del possibile futuro: l’aerea tenerezza del momento amoroso, vissuto tutto al presente, tra To?o e l'amata cugina. Los Viejos è come una bella sorpresa inattesa, uno sguardo ritrovato nell’abisso, un coraggioso frammento di cinema totale…    

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