SAN SEBASTIAN 54 – Il samurai senza vendetta di Hirokazu Kore-eda

In concorso al festival basco “Hana”, il nuovo film del regista di capolavori come "Afterlife" e "Nobody Knows": una storia in costume ambientata all'epoca dei leggendari 47 ronin

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SAN SEBASTIAN – Fuori dal mondo, come tutti i personaggi di Hirokazu Kore-eda, in un afterlife che è in realtà un afterhistoryHana ("Hana yori mo naho", il titolo originale) in Concorso a San Sebastian 54, è il primo film in costume del regista di opere come Maborosi, Distance e il recente Nobody Knows, ed è soprattutto la sua prima produzione "ricca", tanto che porta addirittura il marchio della Shochiku. Questo non significa che Kore-eda non abbia firmato, come sempre, sceneggiatura e montaggio di un film che non nasce certo come prodotto di mercato di un autore sinora raro. Film in costume, per giunta colto in prossimità della celebre saga dei 47 Ronin, la storia vera dei samurai rimasti fedeli ai padroni e infine morti suicidi dopo averne vendicato l'uccisione: siamo in periodo Genroku, dunque, a Edo, la futura Tokyo, in un miserrimo quartiere popolare al centro di una lussureggiante vegetazione. Qui ha trovato rifugio Aoki Sozaemon, giovane samurai che porta sulle spalle il fardello di vendicare la morte del padre, ucciso senza onore da un giocatore di "go" col volto segnato da una macchia rossa. In realtà il ragazzo non è tanto portato per la spada, ha un indole docile e preferirebbe insegnare a scrivere alla popolazione del villaggio in cui s'è insediato in attesa di trovare la vendetta cui è obbligato. Vendetta che potrebbe pure mettere a segno, visto che scopre ben presto che l'uomo da lui cercato è praticamente il suo vicino di casa…

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Scene di placida esistenza che calano lo sguardo solitamente puro di Hirokazu Kore-eda in un contesto storico che sembra quasi trovare nella messa in scena in costume quella distanza tra "realtà" e "finzione della realtà" che è uno dei tratti distintivi del suo cinema. Hana infatti è un'opera in cui il protagonista e tutti i personaggi elaborano il concetto dell'esistenza come distacco dalla pressione degli eventi che appartengono loro, una separazione dalla Storia che è traccia portante di un'esistenza allo stato puro, deprivata – o forse meglio depurata – dal peso di un essere nel mondo che finisce per definire in maniera errata gli individui. Formulato secondo i moduli di una commedia in costume amabile nei caratteri e nei personaggi, Hana racconta infatti la presa di distanza del giovane samurai dal dovere di una eredità di odio e di morte lasciatagli in testamento dal padre guerriero, risolvendo il contrasto intimo che divide il protagonista tra il dovere imposto dalla società e la sua indole personale, nel ricorso a una finzione assoluta di morte, che sembra quasi una attuazione in terra dell'arcadia ultraterrena immaginata dal regista in Afterlife: una rappresentazione in cui espone l'artificio del cadavere del suo nemico allo sguardo emozionato del maestro della sua scuola e si libera del peso di un odio che gli imponeva di brandire la spada del ronin che non sentiva di essere… Hana è di sicuro il film più semplice e diretto fatto sinora da Hirokazu Kore-eda, quello che si offre in maniera più narrativa allo spettatore, ma non per questo rinuncia a raccontare un mondo fatto di slittamenti di senso, di sublimazione tra la materialità dell'esistenza e l'idealità di un'altra vita possibile. Il tema del dovere, ovvero del farsi carico di un portato che appartiene ai personaggi solo in maniera riflessa, si proietta da film come Distance e Nobody Knows su quest'opera placida e divertente, in cui l'amabilità della messa in scena fluidifica nei toni della commedia l'usuale trasparenza del cinema di questo grande regista.

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