Rescue Dawn – L’alba della libertà, di Werner Herzog

Presentato in anteprima europea, “Rescue dawn” è più film in uno. Un corpo a più strati comunicanti e sorprendentemente morbidi all'interno del cinema di Herzog, che ha girato nella giungla thailandese, in condizioni talvolta molto difficili

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Torna sempre, Werner Herzog, in qualche strato delle sue immagini, all'esperienza vissuta e raccontata da Antoine de Saint-Exupéry, alla sua vita(in)volo, alle sfide al cielo e al deserto del pilota e scrittore francese. Voli di notte nella terra degli uomini. Il cinema del regista tedesco riparte da lì, dal vivere sospesi fra la terra e il cielo e il mare e la giungla, con il film che segna il suo ritorno esplicito al lungometraggio di finzione, Rescue dawn (presentato in anteprima europea in questi giorni all'International Film Festival di Rotterdam). E riparte in maniera depistante, per tipo di narrazione e modalità di approccio alla storia (e alla Storia).
Con Rescue dawn Herzog porta, in un lungometraggio di produzione americana, interpretato da Christian Bale, la storia del pilota di origine tedesca e di passaporto Usa Dieter Dengler, che aveva già narrato nel documentario Little Dieter needs to fly nel 1997. Herzog torna, come spesso ha fatto, a un set, un personaggio, un'immagine sulla quale costruire altri set, personaggi, immagini. Dieter Dengler diventa Christian Bale e si usa quanto l'attore che fu il bambino de L'impero del sole (a proposito di guerra e prigionie e aerei…) sia capace di trasformazioni estreme. Pilota dell'aviazione statunitense, Dengler si recò a combattere in Vietnam nel 1965, fu catturato, dopo essere sopravvissuto a un attacco nemico durante una missione in volo, e imprigionato in un campo vietnamita in Laos. Da cui riuscì a fuggire, primo prigioniero americano a scampare alle atrocità del campo di Pathet Lao (insieme a un altro bianco, che non sopravvisse però ad altre torture e privazioni, quelle della giungla, e appare poi, fantasma che ha freddo, in un istante sublime accanto a Bale).

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Rescue dawn è più film in uno. Un corpo a più strati comunicanti e sorprendentemente morbidi all'interno del cinema di Herzog, che ha girato nella giungla thailandese, in condizioni talvolta molto difficili. Sembra – nel breve prologo in volo e sulla portaerei americana dove i soldati osservano un filmato su come sopravvivere nella giungla in caso di incidenti e attacchi – un film classico d'aviazione di guerra. Per diventare, nella lunga parte nel campo di prigionia gestito da comunisti vietnamiti in Laos, un viaggio nell'attesa di una fuga, fatto di complicità (fino a istanti di comicità che affiorano dalla tragedia) e parole sussurrate, torture subite e preparazione rudimentale del piano per aggirare le guardie. Mentre la montagna-giungla che si trova appena oltre il campo osserva ogni minima mutazione dei rapporti e dei corpi sempre più stremati dalla fame. Una montagna-segno, come altrove nel cinema herzoghiano. E per diventare, il film, nell'ultima, magnifica parte, una lotta in primo piano tra l'uomo e la natura (con echi del cinema di John Boorman), con due corpi (e poi uno) in fuga e altrove imprigionati: su una zattera lungo un fiume, nella vegetazione spietata, mentre sanguisughe modificano ancor più quei corpi devastati. Fino all'epilogo, al piccolo aereo e agli elicotteri che salvano Dengler/Bale, e alla beffa giocata ai due federali che vorrebbero ulteriormente imprigionare nei loro interrogatori il corpo e la mente del pilota.
Finale decisamente curioso nel corpo del cinema herzoghiano, dove Bale è quasi "un John Wayne che torna a casa", osannato sulla portaerei ma anche sadicamente (dentro il "lieto fine") imprigionato in uno strato ulteriore da Herzog nel fermo-immagine, gesto filmico che può così assumere segno altro e liberare al tempo stesso quel corpo e quell'immagine verso altri voli. Dengler, dice la didascalia finale, divenne pilota civile e sopravvisse ad altri quattro incidenti aerei. Non ci si libera dalle proprie magnifiche e terribili ossessioni.

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