BERGAMO FILM MEETING 26 – "Le Tombeau d'Alexandre", di Chris Marker (Omaggio a Chris Marker)

Chris Marker - Le tombeau d'AlexandreChris Marker, che fa fiorire un omaggio funebre al regista sovietico Aleksandr Ivanovich Medvedkin, non è un invitato alla cerimonia inerte, in abito da lutto, ma piuttosto un clandestino furiosamente attivo, che disseppellisce, nottetempo, il regno delle ombre e le ombre del regno, la personalità e il contesto di un enigma vivente a cui spedire, una volta scomparso, sei lettere (d’amore) dal presente, mentre le immagini deliranti de La felicità, il riso arma mortale dei poveracci e il corruccio di preti e gendarmi, arrivano oggi ai nostri occhi come un boomerang.

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 “[…] Medvedkin, definito appropriatamente da Chris Marker “l’ultimo Bolscevico” (questo il titolo dello straordinario documentario di Marker del 1993). Sincero sostenitore delle politiche ufficiali, compresa la collettivizzazione forzata della terra, Medvedkin realizzò film che rappresentavano questo tipo di sostegno in un modo che conservava l’originario impulso ludico utopico-sovversivo della rivoluzione; così, nel suo La bonheur del 1935, per combattere e opporsi alla religione, viene mostrato un prete che immagina di vedere il seno di una suora attraverso l’abito – una scena off inaudita per gli standard cinematografici degli anni ’30 (e non solo). Medvedkin, in questo caso, ha potuto godere del privilegio unico di essere un film-maker comunista entusiasticamente ortodosso, i cui film tuttavia sono stati TUTTI sistematicamente proibiti o almeno censurati dal regime. […]

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Slavoj Žižek, Tredici volte Lenin. Per sovvertire il fallimento del presente

Non è il passato che ci domina, sono le immagini del passato.

George Steiner, Bluebeard’s Castle

 

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Chris Marker - Le tombeau d'AlexandreChris Marker, che fa fiorire l’omaggio funebre al regista sovietico Aleksandr Ivanovich Medvedkin, non è un invitato alla cerimonia in abito da lutto, ma piuttosto un clandestino che disseppellisce, nottetempo, grazie a mappe concettuali originali, sequenze dei film degli anni ’30, materiale d’archivio maneggiato fino a renderlo plastico e irridente, carico di una nuova vita, “il regno delle ombre” e “le ombre del regno”, la personalità e il contesto di un enigma vivente a cui spedire, una volta scomparso, sei lettere (d’amore)  dal presente. Mille volte più intimo di un documentario, Le tombeau d’Alexandre scava nelle trasformazioni dell’Unione Sovietica irrompendo nel ventesimo secolo, seguendo la meteora ambigua di un uomo attraverso le parole di chi lo conobbe, ma ancora meglio facendo scorrere in filigrana le immagini dell’epoca attraverso un grande macchinario interpretativo che illumina sullo scontro tra l’invincibile entusiasmo, anche ideologico, di un ”comunista puro in un mondo di aspiranti comunisti”, come commenta lo scrittore Viktor Dyomin, e soprattutto sul rapporto tra realtà storica e mito, e su come il mito non possa a un tratto che trasformarsi insensibilmente in realtà. Marker non cerca una “verità”, e apre il film sui gesti di un anonimo militare in parata, che sta invitando a togliersi il cappello – forse tutto comincia quando si richiede ai contadini a salutare le autorità – accosta la famosa scena della carica ne La corazzata Potëmkin alle immagini dei piedi dei passanti che percorrono dieci volte più rapidamente quella che in fondo non era una scala così imponente, raccoglie negli scatti incredibilmente moderni e insolenti delle commedie folcloristiche di Medvedkin in segni di un pensiero così giovane da venire contrastato metodicamente dallo stesso regime all’interno del quale veniva a crescere; proprio quando il suo intento era sinceramente propagandistico, l’ironia surreale colpiva al cuore i burocrati e li scandalizzava, disegnando una sorta di folle e vulcanica ingenuità, speculare, e incredibilmente non in contraddizione, con le riprese delle grandi parate ginniche di regime, fino all’immagine di alcuni bambini che saltano sulla gigantesca testa di pietra decapitata di Stalin, coprendogli per gioco occhi, bocca e orecchie. Le soluzioni incredibili, l’ inventiva geniale di Medvedkin già rompevano i confini tra presente, passato e futuro: una serie di zelanti e giovani architetti presentano la nuova città prosperosa e ordinata sorgere sulle macerie del vecchio, ma il proiettore si rompe improvvisamente e le immagini si riavvolgono, raccontando in una farsa stupenda come sia difficile sotterrare l’esistente sotto una facciata propagandistica; i soldati zaristi indossano tutti la stessa maschera di carta; il sosia di Stalin interviene, deus ex machina, di fronte alla comica disperazione dei contadini che perdono il controllo di un trattore, che, fa notare Marker, non smette di funzionare, ma impazzisce. La vita di Medvedkin si intreccia con quella di Isaak Ėmmanuilovič Babel', lo scrittore de L’armata a Cavallo, raccontato dalla moglie, ucciso per l’accusa di spionaggio nel Terrore staliniano,  con l’opera di altri pionieri del cinema, Dziga Vertov, Pudovkin, Eisenstein, trovando però sempre una sua specificità paradossale, raccontata da studenti e appassionati che lo riscoprirono nell’era post sovietica, a bordo del suo cinetreno che si avventurava nelle campagne più povere e antiquate con un idealismo incrollabile. Le immagini deliranti di Schastye (La felicità, 1934) il riso arma mortale dei poveracci e il corruccio di preti e gendarmi, arrivano oggi ai nostri occhi come un boomerang, dopo una storia di censura sistematica, “come un messaggio nella bottiglia”, raccolto negli anni ’70 da bibliotecari, cineasti militanti, e dallo sforzo dello stesso Marker che all’epoca portava avanti un lavoro di diffusione e di riflessione con altri (Godard, Ivens, Bruno Muel). Tra una lettera e l’altra, il commentatore scelto è il gatto di Chris Marker, suo attore favorito, disteso languidamente su una tastiera ad ascoltare una sonata per piano di Federico Mompou – il gatto, nobile custode egizio a suo modo di regni che si incrociano e trapassano senza morire, e il ritratto di un’era e di una generazione di artisti che sembrano reperti di un mondo svanito si chiude con una bambina che abbraccia un dinosauro di peluche: “Ciò che accade ai dinosauri, alla fine, è che i bambini li amano”.

 Estratto video – Le bonheur + Le tombeau d'Alexandre

 

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