Trieste Science+Fiction 2009 – "Banlieue 13 – Ultimatum", di Patrick Alessandrin (Concorso)

Banlieu_13_Ultimatum di Patrick Alessandrin
A tre anni dagli avvenimenti di Banlieue 13, un action possente ed equilibrato, in cui i personaggi non si fanno beffe della forza di gravità, ma si agitano nello spazio portandosi addosso il peso specifico della loro massa corporea. In competizione per il Méliès d'Or al Trieste Science+Fiction

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Banlieu_13_Ultimatum di Patrick Alessandrin “Le immagini contano più delle parole”, dice Damien a Leito, in una delle (rare) scene in cui i due atletici compagni di avventura, interpretati rispettivamente da Cyril Raffaelli e David Belle, sono seduti, intenti a scambiarsi rapide battute prima di ricominciare la corsa. A tre anni dagli avvenimenti di Banlieue 13 (correva l'anno 2013), e a 5 dalla distribuzione nelle sale francesi, Patrick Alessandrin (15 agosto – Non sarà una vacanza per tutti, Bastardo dentro) torna insieme a Luc Besson (autore della sceneggiatura originale, nonché produttore) nelle periferie di una Parigi non troppo lontana da quella contemporanea, dove l'invisibile intolleranza che si avverte nell'aria si è ormai fatta materia, trasferendosi nelle alte mura che separano la City dai suoi pericolosi e scomodi bassifondi. Nel B13, uno dei settori più “caldi”, è tutto un brulicare di genti, popoli, gang, sorvegliati costantemente dall’occhio vigile della polizia, barricata nella propria fortezza, costruita su una polveriera pronta ad esplodere sotto i poderosi colpi di un'incontrollabile ribellione.

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Sono  corpi, quelli scolpiti dalla continua battaglia contro il sistema, contro la miseria di una vita che si consuma, degradata, ad ingrossare le fila di un battaglione in cui ogni individuo ha letteralmente un peso. Ne ha nei pensieri del capo dello Stato che supervisiona l’operazione di evacuazione dell’intero distretto, prima di procedere alla sua distruzione (“Voglio che tutti, nessuno escluso, siano trattati con rispetto” dice ad un suo sottoposto), ne ha per l’operazione stessa, che non può prescindere dal numero, dalla quantità di persone, per far sì che il piano abbia successo, ma soprattutto ne ha per Alessandrin/Besson, che poggia le fondamenta della sua pellicola sulle evoluzioni funamboliche dei protagonisti, pedinati da una macchina da presa che non dà tregua, capace di trasferire sullo schermo la forza esplosiva di un corpo a corpo di cui si riesce ad avvertire tutta la potenza (il corpo di Damien dopo la prima lunghissima sequenza all’interno di un club è ricoperto di lividi, l’auto su cui atterra dopo un'inevitabile volo dalla finestra di un ufficio governativo porta su di sé i segni dell’impatto). Ne viene fuori un action possente ed equilibrato, in cui i personaggi non si fanno beffe della forza di gravità, ma si agitano nello spazio portandosi addosso il peso specifico della loro massa corporea, non subiscono il dinamismo incessante (ma mai esasperato) della vicenda, ma ne costituiscono essi stessi il motore.

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