PESARO 47 – "Per noi è fondamentale mescolare le carte del tempo e dello spazio". Il Festival del Nuovo Cinema di Pesaro incontra Flatform (Evento Speciale)


Il gruppo di videoartisti Flatform, protagonista di uno degli Eventi Speciali organizzati in questa 47° edizione del Festival del Nuovo Cinema di Pesaro, incontra il pubblico in sala. Al termine della proiezione di sei cortometraggi realizzati tra il 2006 e il 2011, gli artisti rispondono alle domande degli intervenuti

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Flatform è il nome di un gruppo di videoartisti italiani nato nel 2006. Il Festival del Nuovo Cinema di Pesaro ha scelto quest'anno di dedicare loro uno degli Eventi Speciali, proiettando sei cortometraggi realizzati in questi quattro anni e mezzo di attività. Ciascuna opera di questo gruppo sembra essere un'interrogazione portata all'occhio dello spettatore all'epoca del digitale. Il dialogo a distanza con il “cinema tradizionale” si gioca soprattutto sul terreno dello spazio-tempo e, in particolare, acquista grande importanza la questione del “punto di vista”, la fondamentale relazione tra il soggetto guardante e l'oggetto guardato. L'immagine video è concepita come un'area di possibilità entro la quale la realtà si ricompone sempre a partire dall'atto riproduttivo della telecamera. Le stesse categorie di “mobilità” e “immobilità” sono fortemente messe in discussione, mediante una stratificazione dell'immagine che in alcuni video (si veda per esempio Non si può nulla contro il vento) relativizza e ricombina i diversi movimenti che si compiono all'interno dell'inquadratura.

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Al termine della proiezione si è tenuto un incontro con gli artisti.

 

Abbiamo avuto modo di vedere qui al festival una serie di vostri cortometraggi per una durata complessiva di quarantacinque minuti circa. Nonostante la brevità di ciascuna opera, non resta difficile immaginare quanto lavoro ci sia a monte. 

 

Si può dire che dietro questi cortometraggi ci sono quattro anni e mezzo di lavoro, nel senso che sono il frutto di un’attività quotidiana che procede con costanza da quando il gruppo è nato nel 2006. Per fare soltanto un esempio concreto, il secondo video che avete visto – Intorno allo zero – che dura poco meno di quattro minuti, ha richiesto un anno di lavoro, dato che è stato elaborato fotogramma per fotogramma. La ripresa originale era una sporchissima carrellata realizzata da diversi treni in diverse città d’Italia, alla quale è stato successivamente applicato un semplicissimo “effetto specchio”. Il lavoro più lungo consisteva nel ripulire l’immagine da tutta una serie di elementi di disturbo – alberi, persone, pali e cavi dell’elettricità – fino a lasciare soltanto il cielo e i palazzi. Il risultato finale è un effetto che oserei definire “familiare” e nello stesso tempo “alieno”. Voglio precisare che tutti i nostri lavori partono sempre da riprese reali, senza ricorrere mai all'uso immagini sintetiche elaborate con programmi di grafica 3D.

 

Esiste una relazione tra questi video pensati per una proiezione frontale in sala e le vostre videoinstallazioni?

 

Noi realizziamo sia installazioni video tradizionali, basate su sistemi di multiproiezione, sia installazioni mobili, che sono sostanzialmente dei video che vengono proiettati su un’unità mobile che viaggia all’interno dei tessuti urbani, determinando una condizione di fruizione del tutto diversa da quella tradizionale. In questo caso il video fa territorio, mentre quando viene proiettato in una sala il video agisce all’interno di un territorio.

I video che avete visto qui a Pesaro sono nati per essere proiettati su schermo. Soltanto 57.600 secondi di notte e luci invisibili ha anche una versione installativa realizzata con un sistema di multiproiezione che consente di far vedere nella stessa sala la stessa identica  situazione, con la sola differenza che su ciascuno schermo è ambientata ad un orario diverso della giornata e, dunque, con delle diverse condizioni di luce. Ciò che si determina è quella che noi definiamo una “pulsazione dello spazio”.

 

Potete dirci qualcosa a proposito della sfasatura tra testo e immagine che si ritrova in alcuni dei vostri video, e in particolare in Un luogo a venire?

 

Va detto innanzitutto che per noi ha una grande importanza il testo che viene declamato dalla voce-off, anche per quel che concerne i suoi contenuti. E questo discorso non vale soltanto per Un luogo a venire, ma per tutti i nostri lavori più recenti in cui è presente nel testo una riflessione sul paesaggio, che è secondo noi il luogo cruciale della rapporto tra soggetto e modernità. Detto ciò, veniamo al discorso sulla sfasatura. Questo intervento sempre differito della verbalizzazione rispetto all’immagine genera una sorta di loop, dal momento che l’ultima descrizione che si ascolta è in realtà riferita al primo quadro che si vede sullo schermo. Quel che ci interessa è anche la riflessione sulla possibilità e l’impossibilità dell’esistenza dei mondi, ci interessa cioè aprire una strada sulla “visione possibile” che passa anche attraverso la relazione tra l'immagine e il testo.

 

L'utilizzo delle strutture essenziali del cinema è una costante dei vostri video: il montaggio, la messa a fuoco, la distanza dai soggetti, i movimenti di macchina. Nello stesso tempo, però, queste strutture vengono costantemente scombinate o, meglio, ricombinate e ridotte all’essenziale. Potete dirci qualcosa al riguardo?

 

Mi interessa molto questo accenno all’essenzialità, che è per noi un concetto molto interessante. Voglio fare una breve riflessione che vale per l’arte in generale, per la pittura come per la scrittura. La tela bianca o la pagina bianca sono solo un’illusione, nel senso che ciò che ci sembra vuoto è in realtà intriso di segni ed elementi che non si vedono. Ecco, per noi è fondamentale lavorare con questi elementi e, quindi, fare in modo che dal caos possa emergere una visione. E tutto ciò passa anche attraverso una riflessione sul linguaggio cinematografico e cioè attraverso un’analisi di quelli che sono i suoi elementi costitutivi. Noi, in realtà, ce ne serviamo più per scompaginare lo spazio-tempo che non per analizzarli strutturalmente e, per questo motivo, non c’è mai da parte nostra un intento citazionista o la ricerca di specifici modelli di cinema sui quali riflettere. Per noi è fondamentale mescolare le carte del tempo e dello spazio per testare, come dicevo prima, il limite tra la possibilità e l’impossibilità.

 

Alla base del vostro lavoro sembra esserci anche una componente ludica – o sottilmente ironica – che traspare forse anche dai titoli dei video. Le scomposizioni delle immagini e dei movimenti all’interno delle immagini vengono forse recepite talvolta come un “gioco” da parte dello spettatore. Quel che ci interesserebbe sapere è se questa ironia è ricercata.

 

La componente ludica non è volutamente portata dentro in nostri lavori. Diciamo che non è uno dei nostri intenti programmatici. Detto ciò, è capitato più volte che alcuni espedienti utilizzati nei video – ad esempio l’albero che improvvisamente entra in campo in Non si può nulla contro il vento – suscitassero il riso degli spettatori, ma il punto è che quell’albero non entra in campo con l’intenzione di strappare una risata. Se poi questo avviene, ci fa anche piacere dal momento che non abbiamo assolutamente nulla contro gli aspetti ludici dell’arte. Più che la questione del “gioco” ci interessa la questione della “messa in gioco”.

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