SOME PREFER CAKE 2011 – Londra lo-fi. "Break my Fall", di Kanchi Wichmann

BREAK MY FALL, di Kanchi Wichmann

Break my Fall ha la sensualità aspra e disperata di una delle prime splendide canzoni di PJ Harvey, quando anche lei aveva poco più di vent'anni. Le emozioni delle giovani protagoniste vengono affidate alla penetrante presenza della musica nelle loro vite, un tessuto sonoro che come in un Paranoid Park girato in appartamento restituisce in traduzione simultanea la fragilità e la violenza della loro età di transizione, la natura totalizzante, ardente e sgraziata dei loro slanci amorosi, la difficoltà di crescere.

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BREAK MY FALL, di Kanchi Wichmann Nel suo film d'esordio, Kanchi Wichmann compone un mélo contemporaneo basato esclusivamente sulla percezione intima e slabbrata dei turbamenti di alcuni postadolescenti. Mescolando ispirazioni artistiche (le immagini di Nan Goldin, il cinema di Lukas Moodysson, le band al femminile che compongono la soundtrack, tutte provenienti dalla scena underground londinese, guidate dalle veterane The Raincoats) e personali ("i miei amici, i miei vicini e le persone che vedo intorno a me") Break My Fall cattura tutti quei realistici momenti di "assenza" o "trasparenza" che il cinema di solito tralascia per dare spazio ai dialoghi o all'azione – pensieri inespressi, silenzi introspettivi, l'interminabile momento in cui guardiamo una persona che non ci ama più come prima vestirsi in silenzio, la confusione post sbornia, risvegliarsi in una casa a soqquadro che rispecchia il proprio stato d'animo.

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Se questi aspetti danno al film un ritmo frammentato con cui a volte è difficile stare al passo, riescono a catturare una dimensione tanto privata e infilmabile che la regista sembra doverla riprendere da prospettive vista inusuali (le inquadrature nell'appartamento delle ragazze, che sembrano fatte quasi dall'interno di un armadio, o da qualcuno nascosto sotto il letto o sospeso sul soffitto, attraverso le tende, dietro i mobili). Wichmann agisce per depistaggio, moltiplicando i punti di vista, sovrapponendo ai ricordi della leggerezza di una storia d'amore appena cominciata la dolorosa consapevolezza della necessità di amicizia, calore umano e un po' di equilibrio, che possano spezzare la compulsione delle nottate a base di alcool e coca, di qualcuno che fermi la tua caduta. Anche le scelte più distruttive dei quattro ragazzi non sono mai filmate con lo sguardo furbo e alla fine manierista di un Larry Clark, ma raccontate in forma quasi documentaristica, come se a decidere dove deve andare la macchina da presa fosse uno di loro; la scena queer della capitale britannica è il naturale contesto delle loro avventure e non uno sfondo stereotipato o sensazionalistico (la scena del rave filmata durante un vero rave); quando subentrano la leggerezza e l'ironia si resta ancorati alla realtà senza mai cadere nelle colorate strizzate d'occhio di certo Sundance. Anche se si amano ancora, Sally (Sophie Anderson) un mix di spacconaggine e infantile confusione, non può riconoscersi nel desiderio di esclusività di Liza (Kat Redstone, corpo e viso non convenzionali che sprigionano un'energia rabbiosa) più matura ma meno capace di mordere il freno e venire a patti con il misterioso processo per cui le fiamme si smorzano e i clichè invadono la vita di coppia. Intanto Vin – Kai Brandon Ly, il meno efficace tra gli attori e il meno equilibrato dei quattro amici, che cerca di introdursi nella relazione tra le due sfruttando la debolezza di Sally, per arrotondare fa marchette e disprezza i suoi clienti, mentre Jamie (Collin Clay Chace) buon amico di Liza, dopo tanti amanti occasionali intuisce la possibilità di aver trovato qualcuno di cui fidarsi.

Le loro emozioni senza filtro scorrono sulle ali di una corsa in bicicletta, esplodono in una sala prove dove la voce si spezza, si trasfigurano nel corrispettivo sonoro lo-fi di quella sensazione di non sapersi collocare in nessun posto del mondo, in quei momenti in cui il mondo di fuori, visto da un terrazzo in piena notte, sembra così lontano e tutto sta cadendo a pezzi. L'unico momento di vibrante spensieratezza in cui Liza e Sally ritrovano ciò che probabilmente le ha attratte è un altro esempio in cui la musica satura l'ambiente narrativo e parla per le protagoniste – non a caso questo momento viene sottolineato da Turn me Well di Micachu & the Shapes, ovvero il progetto di Mica Levi, classe 1987, protetta di Bjork, una specie di irresistibile, colto avant-electropop che si prende gioco di sè. E non a caso per tutto il film fanno capolino alcune note di I.B.D. della folksinger Scout Niblett, ma l'intero brano, lacerante e incazzato, compare intero soltanto al climax, quando Liza comprende che la sua relazione è veramente finita.

BREAK MY FALL, di Kanchi Wichmann A partire dalle coraggiose scelte stilistiche – l'uso del Super 16mm – Break My Fall, girato in tre settimane con professionisti e molti non professionisti, dà il suo contributo a un nuovo cinema britannico che pur ricordando la lezione di Mike Leigh, Ken Loach, Shane Meadows o Lynne Ramsay, sente che una descrizione realistica dell'ultima generazione, e di una sua scena queer, ha bisogno di declinare gli intenti politici anche in forma onirica e visionaria per essere davvero dirompente (come seppe fare Derek Jarman) di trovare una sua forma di umorismo malinconico e urticante (Gregg Araki, o in variante autobiografica e ironicamente romantica, Xavier Dolan) di collocarsi in una zona decentrata e multietnica – Hackney, East End – per poter raccontare una storia d'amore e di formazione, e anche il complesso intreccio tra diverse culture e sottoculture che respirano nello sconfortante terreno globalizzato dei nostri tempi.

 
 
 
 
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