XIII FESTIVAL DEL CINEMA EUROPEO – “Io odio Don Chisciotte”. Incontro con Terry Gilliam

Terry Gilliam e Renato De Maria sul set di The Wholly Family
Il regista di Brazil è a Lecce per presentare il suo cortometraggio The Wholly Family, realizzato a scopo promozionale per una marca di pasta. Nell'occasione si è intrattenuto con la stampa, raccontando il progetto e ripercorrendo la sua carriera: "Mi piace quando c'è un modellino o una maquette, ti fa sentire il senso della realtà che nel digitale si perde.  Quello che mi interessa è infatti la connessione tra fantasia e realtà, è quella che provoca una tensione interessante"

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Terry Gilliam e Renato De Maria sul set di The Wholly FamilyIl corto The Wholly Family coinvolge pienamente Terry Gilliam, la sua visione della vita e del sogno. Come si è accostato a un simile progetto?

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Ero con mia moglie a casa mia, in Umbria, quando ho visto dalla finestra un uomo molto strano che si nascondeva dietro i cespugli. Così ho detto a mia moglie di chiuderci dentro, per far finta che non fossimo in casa. L'uomo poi ha bussato alla porta chiamandomi e così ho riconosciuto la sua voce, era Gabriele Auricchio, un mio vecchio amico. Aveva trovato casa mia usando Google Earth e aveva portato un enorme scatolo pieno di pasta Garofalo come acconto, se avessi fatto un corto per lui avrei avuto il resto dei soldi. Mi spiegò che per questo lavoro avrei avuto completa libertà creativa, l'unica condizione era ambientarlo a Napoli e non far morire nessuno nella storia. Praticamente un'offerta che non potevo rifiutare.

E' stata un'occasione per visitare Napoli, che non ero mai riuscito a vedere e inoltre è stato interessante lavorare a un progetto breve, mi ha riportato ai primi lavori animati con i Monty Python. Per fare un lungometraggio, fra ricerca dei finanziamenti e lavorazione, di solito vanno via tre anni, mentre qui ho scritto la sceneggiatura in 20 minuti, avevo le idee molto chiare: volevo iniziare a girare a San Gregorio Armeno, e poi volevo che ci fosse Pulcinella. Quando poi Gabriele mi ha mostrato alcuni luoghi che potevano essere usati come location, la storia è cambiata ancora in meglio. Una delle location, per esempio, era l'Ospedale delle Bambole: quando ero lì, in mezzo a tutte quelle bambole, ho notato un piccolo Pulcinella che usciva fuori da un uovo, e questo mi ha dato l'idea per la scena in cui il bambino nasce da un uovo gigante. Quella che doveva quindi essere una scena normale, ambientata in un ospedale, è diventata una scena fantastica. Così è andato avanti questo dialogo fra me e Napoli che mi ha fatto scoprire sempre nuove cose e ha influito sulla storia. Abbiamo girato il tutto in una settimana.

 

Una cosa che colpisce molto è la capacità e la voglia di lavorare con materiali fisici, concreti: una scelta inusuale nell'epoca del digitale.

 

Mi piace quando c'è un modellino o una maquette, ti fa sentire il senso della realtà che nel digitale si perde. Siccome tutti usano la CG, i film fantasy non sono più incentrati sulla realtà e questo non mi attira. Quello che mi interessa è infatti la connessione tra fantasia e realtà, è quella che provoca una tensione interessante. Ad esempio nei fantasy odierni sembra non esserci la forza di gravità, che trovo invece un elemento molto interessante. Quindi lavorare con oggetti reali provoca delle sorprese, ti regala delle risposte che non ti aspetti. D'altro canto, però, gli effetti CG possono essere utili e dunque li uso anch'io: in una delle scene dovevamo sostituire la testa di una bambola con quella dell'attore e lì ho usato un effetto speciale digitale.

 

Come mai il corto include tanti registi italiani, come Renato De Maria, Tonino Zangardi, Nico Cirasola? E il viaggio a Lecce le ha fornito degli spunti interessanti per i suoi prossimi lavori?

 

In realtà sono venuto qui, prima ancora che per il bellissimo festival, soprattutto per scoprire la Puglia, che offre delle location molto interessanti. Grazie ancora a Google Earth ero attratto dalla zona, ne ho ammirato le sue architetture, e la prima cosa che ho notato è la luce che è semplicemente incredibile.

Quanto ai registi è stato favoloso avere l'opportunità di incontrarli e coinvolgerli nel progetto. Sempre per ciò che riguarda il casting è stato molto interessante il gruppo che ha interpretato i vari Pulcinella perché era formato da gente di estrazione molto diversa, c'erano registi, attori e ballerini. Volevo un Pulcinella come una forza distruttiva, caotica, creativa e per questo divertente.

 

Ci può parlare un po' di questa Napoli così misteriosa e magica che si vede nel film?

 

Napoli è un posto strano: è caotico, viverci è molto difficile, eppure la gente è meravigliosa. Sembra che più un posto sia difficile, più la gente che lo abita si riveli straordinaria, questo contrasto mi affascina parecchio. Poi c'è anche l'aspetto intrigante della Napoli “negativa”, ovvero di questi enormi spazi che esistono sotto la superficie: i Borboni hanno prelevato la roccia dal sottosuolo e l'hanno portata sopra per costruire i palazzi, creando questa interessante dualità fra una parte positiva e una negativa. Anche il traffico, sembra una caos incontrollabile, ma in realtà è una come una sessione jazz, ha un suo ordine.

 

Ci sono connessioni fra il personaggio di Parnassus e Pulcinella, cosa ne pensa?

 

No, non la vedo così, a un certo punto il personaggio interpretato da Heath Ledger indossa un costume che ricorda quello di Pulcinella, ma questa cosa deriva dal mio amore per la commedia dell'arte. Mi piace molto il Pulcinella di Napoli, più di quello raffigurato da Giandomenico Tiepolo, perché è più grottesco.

 

Quanto le è costato non avere sempre a disposizione i mezzi necessari a portare i compimento i progetti che voleva, come il celeberrimo Don Chisciotte al centro del documentario Lost in La Mancha?

 

E' deprimente, sono come un bambino cui sono stati tolti i giocattoli. Per ciò che riguarda il Don Chisciotte ho avuto la possibilità di riscriverlo almeno 5/6 volte, forse non sarà mai fatto, ma il lavoro di evoluzione e reinvenzione è comunque molto interessante. A volte penso addirittura di essere fortunato perché ho fatto pochi film, forse se avessi avuto sempre i soldi a disposizione avrei fatto dei brutti film. In alcuni casi la frustrazione può dare degli ottimi risultati e quindi se noi registi avessimo magari tutti i soldi che vogliamo non sapremmo cosa farne. Il processo di creazione è uno scontro fra i mezzi imposti dalla realtà, che in un certo senso ti ricollocano nel mondo, e la mia immaginazione che invece cerca di fuggire, tutto questo è molto interessante. Inoltre in questo modo posso venire ai festival, se avessi avuto i soldi ora non sarei qui. Le limitazioni mi spingono a muovermi e a conoscere gente con cui stabilire delle connessioni e questo è anche molto piacevole.

 

Qual è il suo prossimo progetto?

 

E' un segreto. Perché quando del mio prossimo progetto poi di solito evapora.

 

Quale progetto potrebbe realizzare qui in Puglia?

 

Non saprei, però la Puglia potrebbe essere un ottimo background proprio per il Don Chisciotte, a causa della sua purezza e al fatto che gli spagnoli hanno costruito qui molti palazzi, quindi per certi versi è una terra che somiglia alla Spagna.

 

Cosa pensa dell'attuale febbre del 3D? Quale dei suoi film potrebbe essere riproposto con questa tecnica?

 

In realtà ce n'è già uno, stanno infatti effettuando dei test su I banditi del tempo per convertilo in 3D. Non sono particolarmente interessato al 3D, ma è bello il fatto che queste operazioni possano riportare in sala dei vecchi film e fargli così raggiungere un nuovo pubblico.

 

Cosa pensa invece del 3D d'autore di Wenders o Herzog?

 

Purtroppo non ho ancora visto Pina, solo dei pezzi, e mi sembra fantastico.

 

Heath Ledger in ParnassusLei è stato uno degli ultimi registi a dirigere Heath Ledger: quanto un evento della realtà come la sua morte ha influito sul progetto e lo ha modificato?

 

Non ha influito sulla sceneggiatura né sui dialoghi, il film finito rispecchia fedelmente quanto era scritto. La differenza è che il personaggio interpretato da Heath è ora affidato a tre diversi attori. Non saprò mai come sarebbe stato il film se Heath avesse interpretato tutti i vari aspetti del personaggio. Il motivo per cui il progetto è arrivato a compimento è perché sono circondato da gente che non mi ascolta: alla notizia della morte di Heath ho infatti pensato che fosse tutto finito e che per il film non ci fosse più nulla da fare. Ma mia figlia non mi ha ascoltato e mi ha detto che avrei dovuto continuare, lo stesso ha pensato Nicola Pecorini, il direttore della fotografia. Questa loro determinazione mi ha spinto a continuare e uno dei suggerimenti che mi veniva dato era di sostituire Heath con un attore: è stato lì che ho pensato che sarebbe stato invece più interessante usare tre diversi attori. Mia figlia mi ha suggerito di contattare Johnny Depp e lui si è messo completamente a disposizione. Contestualmente, però, la morte di Heath aveva messo in fuga i finanziatori, così quando il progetto è ripreso ho dovuto ricontattarli. La cosa meravigliosa è che i tre attori che hanno sostituito Heath hanno lavorato gratis. E' una cosa rara, la vicinanza di queste persone a Heath ha compiuto questo miracolo e ha fatto continuare il progetto. Inoltre devo ringraziare l'Italia perché è il paese in cui il film ha incassato di più.

 

Lei che ha avuto tante visioni negative della realtà, anticipandone alcune, come guarda la realtà di oggi, dove pensa sia andato il mondo oggi?

 

Non so dove sia la realtà oggi, abbiamo una comunicazione istantanea ma non comunichiamo, abbiamo molte informazioni ma non influiscono sulle nostre vite, abbiamo i Social Network ma forse non abbiamo più una società… sono abbastanza confuso a riguardo.

 

Fellini sosteneva che la realtà è la vita quotidiana e lui raccontava i sogni che sono al di sotto. Volevo sapere se il suo mondo appartiene ai sogni.

 

Penso che come Fellini io cerco di interpretare la realtà, ma non voglio essere limitato dai fatti. C'è una verità più interessante di quella che si vede in superficie. Ogni film che ho fatto cerca di spiegare la realtà, non so se ci sono mai riuscito, ogni volta penso di sì ma poi quando lo rivedo dopo un anno mi rendo conto che non è così.

 

E quanto attinge dagli incubi e quanto dai sogni?

 

Cerco di non sognare affatto e di non attingere, è la cosa più sicura.

 

In questo senso il progetto di Don Chisciotte è interessante perché segna il passaggio da un'epoca all'altra. Oggi siamo ormai in un'altra epoca rispetto a quella in cui aveva iniziato a pensare a questo progetto.

 

No, noi pensiamo di essere in un'altra epoca, ma è sempre la stessa, cambiano i dettagli ma l'essenza resta identica. Io cerco comunque di aggiustare i dettagli riscrivendo sempre la sceneggiatura, forse ho già fatto il film così tante volte nella mia testa che non ho più bisogno di farlo. Io odio Don Chisciotte!

 

Come è andato l'ultimo incontro con i Monty Python, quello che fate ogni anno?

 

In realtà sono ormai due anni che non ne facciamo, l'ultima volta ci siamo visti per il 45esimo anniversario della fondazione del gruppo a New York.

 

Siamo in un periodo in cui il cartooning va benissimo, anche a livello di box office. Lei con l'animazione ha avuto delle esperienze molto importanti: le viene voglia di realizzare un progetto, o gliene hanno proposto uno?

 

No, sono produttore esecutivo di un paio di progetti, ma non ne ho uno mio, non saprei come competere con la Pixar, loro sono incredibili e ricordano molto i Python: sono 6 registi che controllano ogni aspetto dei loro progetti. Anche per questo sono una realtà unica sulla scena attuale.

 

Abbiamo prima citato Fellini, che spesso viene accostato al suo nome, un altro è Ken Russel, qui omaggiato al festival. Ha un pensiero su di lui?

 

Ken Russel è stato un filmaker straordinario, per la forza visiva e le sue idee. Spesso andava oltre, per questo era molto criticato, d'altronde è quello che sanno fare meglio i critici. In Inghilterra è stato ignorato negli ultimi 15/20 anni, solo la morte lo ha riportato alla ribalta.

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