GENDER BENDER FESTIVAL 2012 – Laurence Anyways, di Xavier Dolan

Melvil Poupaud e Suzanne Clément in Laurence Anyways, di Xavier Dolan

Il mondo secondo Xavier Dolan: come ogni magia, funziona se ti ci riconosci. Alla fine dei 161 minuti di Laurence Anyways è difficile capacitarsi del fatto che il regista abbia solo 23 anni: con le sue imperfezioni, le sue lungaggini, il film è un'opera di talento e maturità impressionante e di prepotente vitalità, innanzitutto un grido d'amore per il cinema e per tutti coloro che in qualche modo "vivono di cinema", in una sorta di epica del quotidiano di sfrenato romanticismo. In anteprima italiana al Gender Bender 2012

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Melvil Poupaud e Suzanne Clément in Laurence Anyways, di Xavier DolanIl mondo secondo Xavier Dolan

Gli elaborati ralenti, il continuo sfocare e mettere a fuoco, il soffermarsi su primi piani a effetto, l'attenzione maniacale ai dettagli, l'uso vertiginoso delle musiche, non sono (o almeno, non solo) pretestuosi. In parte testimoni della dichiarata ammirazione di Dolan per il primo Wong Kar-wai, sono il contraltare importante di una quotidianità che i suoi personaggi vivono costantemente come se fosse un film (e viceversa).

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È come se a poco a poco Dolan spiegasse le sue ossessioni di sempre, svelando che non si tratta solo di trucchi: per esempio l'attenzione maniacale ai colori, qui rivela un contenuto: nel gioco tra Laurence e Fred, stilare liste semiserie su ciò che toglie piacere alla loro vita e su ciò che invece ne aggiunge, certi colori sono rappresentativi di certe personalità e certi stati d'animo, senza appello. Laurence e Fred si amano, sia prima, che dopo la decisione di lui di guardarsi allo specchio e "scorgere il riflesso che ha sempre sognato", quello di una donna; essere semplicemente "ciò che è nato per essere".

Lo stile è teso, nervoso, avvicente, i dialoghi palpitanti e realistici, innamorati del cinema francese di 30-40 anni fa. La vita dell'esterno, le trivelle e i clacson affiorano dietro le musiche extradiegetiche, il suono del ricordo si identifica con quello della marea, a ricordarci non che dietro il film c'è la vita, ma che il film è già sempre dentro la vita.Laurence Anyways, di Xavier Dolan Dolan è un maestro nel catturare la frenesia, anche l'isteria dei sentimenti, nei momenti di gioia appagante, di spensieratezza, e nelle crisi: fughe, persone che stanno per esplodere e fuggono in strada o in bagno; ed è proprio nei momenti in cui i suoi protagonisti si rifugiano in fantasie cinematografiche (una costante anche nei due film precedenti e forse la cifrà migliore dell'opera di Dolan) che diventano più veri.

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Torna anche il tema della mostruosità degli altri (i volti deformi di Hieronymus Bosch che affiorano davanti a Laurence mentre si rende conto che il suo aspetto incongruente col suo sesso basta a farlo massacrare di botte) un argomento qui declinato al meglio, l'atteggiamento di coloro che vivono una presunta normalità – bollando i "diversi" con un "C'est spécial" (un "è bizzarro" con una componente negativa) vero e proprio mantra sarcastico di Dolan.

Le grottesche tavolate, le cene di famiglia, le feste che diventano sempre un mattatoio, occasioni di orrore borghese dove viene voglia di salire sul tavolo e spaccare tutto (Fred, che pure ha ceduto al triangolo matrimonio-figlio-ricevimenti casalinghi, sopporta solo per pochi minuti di diventare "una di loro"). In pochi passi Dolan smonta anche diversi luoghi comuni legati alla percezione della propria identità di genere: l'attrazione sessuale e l'amore non hanno necessariamente a che fare con essa. Ma per farlo non ha bisogno di cedere alla facile correttezza politica, pur avendo vinto la Queer Palm a Cannes, anzi si dimostra magnificamente scorretto (il coraggio di mostrare una madre che dice all'amante: "ti amo più di mio figlio"; la rappresentazione di un'altra coppia, questa totalmente politically correct e apparentemente serena, che vive reclusa in un bunker paradisiaco tra droghe e cibo biologico).

Suzanne Clément in Laurence Anyways, di Xavier DolanProprio uno degli aspetti per cui viene maggiormente criticato, questo esasperato, consapevole romanticismo, è la forza del giovane regista del Québec (la processione di sguardi iniziali nella soggettiva del protagonista, la strepitosa scena dell'ingresso di Fred al Cinebal, sulle note di Fade to Grey dei Visage, che segna anche la sua rassegnazione alla perdita di Laurence, gli abiti che cadono dal cielo durante la fuga di Fred e Laurence, la sequenza iniziale del ballo in discoteca che si chiude con un vicolo notturno decorato dal bucato mosso dal vento, la potentissima scena finale sulle note di Vivaldi).

Anche le molte suggestioni visive, letterarie, non sono lì a caso, ma compongono il diario di un appassionato spettatore oltre che regista talentuoso (le scritte godardiane che irrompono nel film) anche le citazioni, mai scontate: come il famoso dialogo – C'est une Révolte?Non, Sire, c'est une révolution, che paragona il percorso di Laurence alla presa della Bastiglia). Certo, il film risente di qualche carenza narrativa già palese in Les amour imaginaires (meglio (meglio il primo film, J’ai tué ma mère, scritto a soli 17 anni, diretto e interpretato a 19, in cui la componente autobiografica garantiva un sostegno più solido alla storia) e dopo circa un'ora il ritmo crolla bruscamente: ma quasi tre ore sono giustificabili dalla scelta coraggiosa di narrare oltre 10 anni della vita di due persone, con lo sforzo di di mostrare realmente i loro cambiamenti emotivi (non è solo una questione di capelli) senza rifugiarsi nei classici salti hollywoodiani fatti di invecchiamento forzato col makeup. Inoltre, è incredibile che un autore così giovane sappia maneggiare le storie di personaggi di ogni età, rendendole universali.

Non c'è definizione per il sentimento di Laurence e Fred, che è enorme, e si fa beffe di ogni classificazione. È il mondo ad essere troppo limitato e gretto per questo amor fou, folle e imposibile per definizione, non per le sue circostanze (la trasformazione radicale di Laurence è solo una delle tante. Quanto si è pronti ad amare durante i terremoti del mutamento?) e la sua eccezionalità è sostenuta da interpretazioni eccellenti: Suzanne Clément, magnifica nella scena in cui si avventa sulla proprietaria di un locale che ironizza sugli abiti femminili di Laurence, un furetto vorace, intelligente, combattivo (giustamente premiata come miglior attrice a Cannes 65) Melvil Poupaud, convincente e misuratissimo, tanto da mettersi da parte e suggerire che la protagonista è lei, Fred, che deve fare i conti con i suoi cambiamenti. Accanto a loro, Monia Chokri torna in un ruolo che le calza a pennello (la solita antipatica, scontrosa e fragile con la battuta pronta) e la Nathalie Baye di François Truffaut è superba nella parte della madre di Laurence, divisa tra cinismo e tenerezza nascosta.

Nathalie Baye e Melvil Poupaud in Laurence Anyways, di Xavier DolanEcce Homo

“Ma perchè non sei vestito da donna?" Chiede Fred, confusa, in uno dei loro ultimi incontri, quando ha ormai accettato l'idea che Laurence intende invecchiare nel corpo di una donna, ma si presenta a lei in abiti maschili. ” “Per farti piacere" è la semplice risposta. La frattura tra Laurence e Fred viene raccontata così: "Non ridiamo più" ammette lei. È sufficiente. (Françoise Sagan raccontava la crucialità del ridere insieme ne La disfatta, facendone il più terribile momento di gelosia, vedere il tuo amore che ride con un altro).

Ed è magnificamente laconica anche la risposta di Laurence al suo licenziamento: scrive "Ecce Homo" sulla lavagna e abbandona la sala riunioni. Dolan non fornisce spiegazioni, si limita a registrare la complessità degli esseri umani.
In un altro degli ultimi struggenti incontri di Laurence e Fred, che vivono due vite separate ma non possono fare a meno di tornare l'uno all'altra, Fred getta indietro i capelli. "Adoro quando fai così, il tuo collo sembra dire: andate tutti affanculo. Ti ho rubato questo gesto" dice Laurence, negli abiti e nel sorriso di una bella signora. Chi può dire cosa vuol dire amare? Nel manifesto dei baci perugina c'è scritto che tocca rinunciare alla propria identità per fonderla con un'altra. E se amare fosse anche amare a tal punto da rubare l'identità dell'altro, indossarla, incarnarla, portarla nelle strade più remote come un imprinting che non cessa di esistere?
 

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