TORINO 32 – Giorno 1 – Passioni

Prime visioni di questo Torino 32 all’insegna della luce, dei colori forti, delle passioni travolgenti. Dal magnifico noir La chambre bleue di Amalric sino allo sfrenato e sregololato ballo tribale di Sion Sono in Tokyo Tribe, passando per gli abissi Jazz di Whiplash e terminando nell'incantevole Costa Azzurra di inizio novecento in Magic in the Moonlight di Woody Allen

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Prime visioni di questo Torino 32 all’insegna della luce, dei colori forti, delle passioni travolgenti. Inutile ribadire quanto grande sia il film di Matheiu Amarlic, La chambre bleue (Festa Mobile), noir classico (conta)minato da ossessioni tutte contemporanee, capace di innestare incredibili abissi umani e “nouvelle vague” in una solidissima struttura di genere. Cinema del passato proiettato nel futuro e sguardo sempre più imprenscindible quello di Mathieu: "un inganno di sublime bellezza".

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Dall’altra parte del mondo, in Giappone, ci pensa Sion Sono con il suo Tokyo Tribe (After Hours) a immergerci in un altro abisso di colori e passioni, ironia e musica, yakuza e sangue. Uno sfrenato e sregololato ballo tribale (tratto dal manga di Inoue Santa) che unisce un gusto (post)postmoderno e stracitazionista (da West Side Story a Gans of New York) alla tradizionale follia non-sense di grandi autori giapponesi come Miike o il primo Kitano. La musica rap scandisce il montaggio come nell'universo parallelo di un videoclip e l'eccesso scenografico intasa letteralmente gli occhi dello spettatore. Sion Sono, insomma, prosegue deciso il discorso sulla destrutturazione del suo cinema iniziato con il bellissimo Why Don't You Play in Hell, ma forse questa volta si avverte un po’ troppo il peso del meccanismo, della costruzione e della riflessione a monte, raggiungendo poche volte la fantastica anarchia del film precendente.

Passioni si diceva. Come quella per il Jazz di Damian Chazalle con Whiplash (Festa Mobile), seconda variazione su tema (autobiografico) del giovane e talentuoso batterista dopo la bella prova di Guy and Madeline on a Park Bench (presentato qualche anno fa sempre qui a Torino). Passione trasformata anche qui in ossessione: perché “non è questione d’ispirazione, di svaporamenti creativi, di intuizioni geniali: l’ossessione è quella di tenere il tempo giusto, di battere al ritmo esatto, mantenendolo e ritrovandolo ogni volta che è necessario”.

Passioni e ossessioni come la vita per il cinema del vecchio Woody Allen, che ci presenta qui la sua ultima fatica Magic in the Moonlight. Ecco, ci risiamo, ritrovare la musica e le immagini di Woody è come trovare l’ennesimo piccolo tassello di un mosaico durato una vita…e tornano ad aleggiare tanti umori ricorrenti del cinema alleniano: dalla razionalità che si scontra con l'imponderabilità dell’amore, alla magia vista come filtro per superare il “non senso” della vita; dall’ironia sferzante che scardini le convenzioni sociali al rifugio nell'arte come unico porto sicuro nonostante una vena creativa ormai altalenante. Il fatidico incontro – nell'incantevole Costa Azzurra di inizio Novecento – tra il “mago tutto razionalità” interpretato da Colin Firth e la "presunta sensitiva" interpretata da Emma Stone è davvero un sincerissimo viaggio nella memoria. Memoria del cinema (echi di Hitchcock, Renoir, Von Sternberg) e memoria del suo autore (la Stone si muove come Diane Keaton ed è vestita come Mia Farrow in Una commedia sexy in una notte di mezza estate) per un film certamente non epocale, certamente sin troppo "scritto", ma che ci riconsegna per l’ennesima volta singoli sublimi momenti di cinema e attimi di vera commozione. Del resto ciò che conta sono le fugaci passioni, il cinema continua a dirci solo questo…

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