CANNES 65 – “Thérèse Desqueyroux”, di Claude Miller (Film di chiusura)


Non ha nulla del film-testamento l’ultima opera del regista francese, scomparso il 4 aprile scorso. Ma oltre a portare ancora sullo schermo figure femminili inquiete, si trascina anche quelle tracce dei suoi noir in un’opera che, pur non essendo tra le sue pi
ù ispirate in quanto punta a una struttura più tradizionale, segna efficacemente lo scarto tra la protagonista e l’ambiente che la circonda

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Chiude la 65° edizione Thérèse Desqueyroux, il film postumo di Claude Miller, cineasta francese scomparso il 4 aprile scorso. Ma non ha nulla dell’opera-testamento. E dopo il road-movie sentimentale di uno dei vertici della sua filmografia, Voyez comme ils dansent, presentato proprio all’ultimo Festival di Roma, questo film forse rappresenta un’ideale chiusura nella particolare sensibilità del regista di portare figure femminili inquiete, sospese tra ribellione e rassegnazione. Alla base c’è il romanzo di François Mauriac – già portato sullo schermo da Georges Franju nel 1962 – per un’altra ambientazione d’epoca nell’opera del cineasta dopo L’accompagnatrice e La piccola ladra.

Th
érèse Desqueyroux si svolge tra la fine e l’inizio degli anni ’20. L’apparente freddezza che appare più come controllo della materia letteraria, sprigiona poi pulsioni oscure come non era mai avvenuto nei suoi film in costume, con quei fasci di luce del passato e di Parigi nel futuro che riportano anche a quelli di La petit Lili. Thérèse diventa la signora Desqueyroux in un matrimonio appositamente organizzato per non disperdere le proprietà terriere della famiglia. Le sue idee anticonvenzionali la porteranno anche a gesti estremi.

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therese desqueyroux
Audrey Tatou qui
è un'altra figura di rottura dopo Coco avant Chanel. La sua voce fuori-campo diventa già elemento di distanza, la regione delle Landes una gabbia sentimentale come il Canada di Voyez comme ils dansent. Miller materializza le sue pulsioni di morte o quelle omicide attraverso le visioni del salto del treno o del fuoco, la lascia precipitare in un abisso spesso caratterizzato dai colori scuri, quasi una reincarnazione da noir, figura doppia come Isabelle Adjani in Mia dolce assassina che finisce per rifiutare anche la sua immagine riflessa del vetro del treno. Si assiste a una mutazione fisica, a un deperimento dove l’isolamento sembra essere simile a quello delle martiri religiose. E il regista riesce a segnare efficacemente lo scarto tra lei e l’ambiente che la circonda.
L’immagine iniziale del flashback, di lei con la sorella che va in bici, sembra svolgersi quasi in un’altra vita. Certamente non si tratta del film pi
ù ispirato del regista, accompagnato anche da una musica al piano che sembra gli voglia fare evitare slanci improvvisi. In Thérèse prende forma il suo mondo chiuso, senza però visioni soggettive, come per non creare identificazione. Miller punta più su una struttura tradizionale. Ma oltre l’ottimo mestiere prendono forma anche oscuri segreti. E la separazione finale è un momento toccante proprio per come disperde proprio le ultime tracce di una vita che poteva essere diversa. L’atmosfera monotona non fa per fortuna rima con rigore, quindi con stanco accademismo. E occhio ad Anaïs Demoustier nel ruolo della sorella Anne, vista recentemente in Le nevi del Kilimangiaro di Guédiguian.

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