LEONE D'ORO VENEZIA 69 – “Pieta”, di Kim Ki-duk (Concorso)


Gli uomini si cibano di innumerevoli morti
. Vertigini e cadute di Pieta son tutte qui, nelle parole confessate da Kim Ki-duk alla videocamera di Arirang. E' come se il regista avesse voluto rappresentare una sorta di messa in pratica narrativa di quello che si rivelava essere il suo credo nel corso del sublime dialogo con la propria ombra posto all’inizio di quell’opera-testamento. Ma purtroppo il risultato sembra vittima della propria struttura apertamente allegorica, alla lunga asfissiante

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Il “diciottesimo film di Kim Ki-duk”, come specificano i titoli di testa, è anche il secondo post-Arirang, dopo l’Amen dello scorso anno, e sembra voler rappresentare una sorta di messa in pratica narrativa di quello che si rivelava essere il credo del cineasta nel corso del sublime dialogo con la propria ombra posto all’inizio di quell’opera-testamento da isolamento forzato: “Secondo me la vita è sadismo, autotortura e masochismo. Si torturano gli altri, siamo torturati e torturiamo noi stessi. Alla fine molti si accontentano dell’autotortura… Non c’è ragione per non odiare, detestare o non capire la vita umana. Ma anche così continuiamo a dimenticarcelo e, in un’ottica miope, abbiamo bisogno di tempo per guarire dal dolore, dall’odio e per perdonare. Perché vivere è così triste e deprimente, ogni giorno?”
Kim Ki-duk realizza queste premesse immergendo il proprio film in una schiettezza formale che da un lato pare evocare la violenza disturbante degli esordi, mentre dall’altro presenta soluzioni inedite per il suo sguardo, come le zoomate repentine e una certa mobilità nervosa della mdp che nega di fatto il gusto per l’estrema pulizia estetica e ricercatezza stilistica che servivano nei suoi capolavori a sublimarne la disperazione in una eterea stilizzazione che la rendeva in qualche modo assimilabile, astratta.

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Restringere la distanza dagli elementi messi in scena “sporcando” l'immagine fa però il paio con un’altra delle “nuove” ossessioni di Kim Ki-duk, che già in Arirang si mostrava magneticamente attratto dai macchinari meccanici (la macchina per il caffè smontata e rimontata con attenzione maniacale…), e che qui rinchiude buona parte del film in oscure e sudice botteghe di artigiani e operai in qualche modo “divorati” dai propri stessi dispositivi automatici, che spezzano e staccano mani, braccia, gambe…
La struttura apertamente allegorica sull’omicidio di tutta una classe della società coreana, esplicitamente dichiarata dalla sequenza in cui il protagonista guarda lo skyline della città e il quartiere di baracche di lamiera destinato a sparire per far posto agli ennesimi grattacieli, diventa il limite più pesante e asfissiante di un film malauguratamente tra i meno riusciti di Kim Ki-duk, che non riesce a far vibrare – se non nel balenio tremolante e effimero di alcuni fulgidi istanti – il rapporto tra la madre ritrovata e il protagonista.
Il film si chiude così nella formula con programmatico crescendo di angherie intollerabili e rovesciamento a sorpresa, molto familiare al cosiddetto cinema “estremo” coreano, come se il regista fosse alla ricerca di una nuova generazione di spettatori ora che il suo ritorno sulle scene pare definitivo (anche se il riferimento che ci sembra più vicino non viene dall’immaginario della Corea, ma dall’ugualmente irrisolto Dream Home di Pang Ho-Cheung, pure incentrato sulle Macchine che distrussero Hong Kong, e con una sequenza di “epifania da skyline” sostanzialmente gemella a quella di Pieta).

Ma forse la chiave per leggere l’opera risiede invece altrove, ad esempio nei destini alimentari che toccano ai numerosi animali (polli, anguille…) che attraversano il set per finire puntualmente in padella (tranne il fenomenale coniglio lasciato libero per strada in piena notte): anche questo è un altro punto centrale della filosofia di Kim Ki-duk (non a caso il primo gesto della madre è offrire un pollo catturato al ragazzo), che sempre in Arirang spende più di un monologo per riflettere sulla crudeltà del dover ammazzare altre vite per garantirsi la sopravvivenza. Con parole sue: Gli uomini si cibano di innumerevoli morti. Vertigini e cadute di Pieta son tutte qui.

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    14 commenti

    • Leone d'oro a Kim Ki-Duk! Film bellissimo!!!

    • Che smacco per voi, eh?? E io godo! Il film di Kim Ki-duk è stato unanimemente riconosciuto per il capolavoro che è, siete rimasti voi a stroncarlo in splendido isolamento. E che goduria anche il premio a Seidl, quanto vi ha fatto rosicare?? Siete ridicoli e residuali, la vostra idea di cinema è disneyana.

    • Take sci Cchitano

      È vero. Residuali come Redford, Sly, Wakamatsu, Kitano

    • Bello! forse non ho capito io l'autore dell'articolo eppure non ho avuto la sensazione della stroncatura come scrive @corvo. Ho trovato questa lettura profonda e stimolante, di chi conosce bene il cinema del regista coreano e che pone dei dubbi su quest'ultima opera. Dubbi che a me fanno venire ancora più voglia di vedere il film, se mai uscirà. Forse il Leone d'Oro aiuterà?
      Non ho capito la risposta di @Take, che volevi dire?

    • Il film e bellissimo, sozzo pulisciti gli occhiali…

    • @Corvo: a prescindere da ogni idea di cinema e da ogni giudizio su Kim Ki Duk, quindi secondo te chi è residuale o non accodato alla maggioranza è ridicolo. Il tuo astio e la tua "goduria" la dicono lunga sulla tua obiettività, il tuo mi sembra un atteggiamento "zelighiano", ogni minoranza di pensiero va insultata. Brell'atteggiamento, non c'è che dire……..

    • Sozzo non sapevo che avessi gli occhiali…. corvo rosso non avrai il mio scalpo…grosso corvo a chinatown…

    • @Laura88: Esce venerdì 14

    • A Venezia un settembre corvo shocking…

    • Grazie @Giulio! Ma sai se esce anche Arirang?

    • Io l'ho visto in dvd da feltrinelli. Lo trovi anche in streaming sottotitolato 😉

    • Kim Ki Duk è un regista che ha classe, assolutamente. Attendo il 14 per andare a vedere Pietà e che ci volete fare, capita anche, nel 2012, di leggere che il "famoso" regista Giovanni Veronesi scrive che i film coreani hanno rotto le palle. Evvabene se vogliamo metterla così, si può tranquillamente dire e sottolineare che 3 soli minuti, a caso, di un qualsiasi film di Kim Ki Duk valgono 1000 volte tutta la filmografia di questo genio nostrano!! Film girati in poco tempo, con pochissimi mezzi e tantissime idee. Film scarni, crudi, poetici, immensi. Il cinema di Kim Ki Duk e tutto ciò ed altro ancora. E ci sarà, sicuramente, gente che andrà a vedere il film, incuriosita dal Leone d'oro…e ne uscirà stravolta…in senso positivo ed un bel pò in senso negativo (perchè la classe mica abita le anime della maggioranza degli italiani…)

    • @Lara88 Concordo, anche io come te ho inteso questa recensione come una riflessione di chi conosce bene il cinema id kim ki-duk e si interroga sul suo futuro@Peppe P. eh già, se la distribuzione italiana comincia a far circolare qualche film coreano (tra le cose più recenti citerei il fantastico Bedevilled di Chul-soo Jang) come fa poi Veronesi a vedere in sala il suo pubblico scorreggione amante degli intrecci sentimentali da quattro soldi e delle facili risatine scritti dagli "sceneggiatori automatici"di Boris con F4? Non si preoccupi troppo, i suoi spettatori resteranno tali…

    • ho appena visto il film e faccio i complimenti a Sozzo che ha centrato in pieno i limiti dell'ultima fatica di kim ki duk. allegorico e asfissiante, ecco le due parole che mi hanno ronzato nella mente per gran parte del film. resto un fan di kim e malgrado il Leone d'Oro, anche di MIcheal…..Mann