VENEZIA 69 – “The Tightrope”, di Simon Brook (Fuori Concorso)


Simon Brook apre per la prima volta alle telecamere le prove degli spettacoli di suo padre Peter e, soprattutto, svela gli esercizi che preparano i suoi attori a quel “teatro del reale” che è la caratteristica dei suoi lavori. Immaginare di percorrere “la corda del funambolo” (il “Tightrope” del titolo) è innanzitutto un esercizio basilare per gli attori di Brook perché consente di immergersi nella rappresentazione non solo a livello mentale ma con il corpo tutto

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La mostra di Venezia rende omaggio ad uno dei mostri sacri del teatro mondiale: Peter Brook (classe 1925) riproponendo nella sezione dei classici il suo “Tell me lies” che nel 1958 cercava di portare l’attenzione in Gran Bretagna sulla guerra del Vietnam, ma soprattutto attraverso il documentario del figlio Simon che per la prima volta apre alle telecamere (nascoste, per non compromettere la spontaneità degli attori) le prove dei suoi spettacoli e, soprattutto, svela gli esercizi che preparano i suoi attori a quel “teatro del reale” che è la caratteristica dei suoi spettacoli.

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Immaginare di percorrere “la corda del funambolo” (il “Tightrope” del titolo) è innanzitutto un esercizio basilare per gli attori di Brook perché consente di immergersi nella rappresentazione non solo a livello mentale ma con il corpo tutto, ed è anche metafora perfetta per tutta una serie di “spartiacque” che l’attore deve padroneggiare senza mai abbandonarsi completamente all’uno o all’altro campo (finzione e realtà, tradizione e rinnovamento, commedia e tragedia, ecc…) imparando che l’unico modo che ha per restare in equilibrio è quello di avanzare sempre.

 

È interessante vedere il processo di crescita che compiono gli attori, inizialmente svolgendo lavori di tipo individuale: l’attraversamento della corda immaginaria, appunto. E poi, man mano, in piccoli gruppi che si fronteggiano ancora sulla corda, fino alla piena consapevolezza del gruppo intero che li porta in breve tempo (il workshop ripreso dura solo due settimane) quasi alle soglie della “condivisione di coscienza”. Uno degli esercizi più impressionanti che vengono rappresentati è, infatti, quello nel quale gli attori (rifacendosi agli animali che si muovono in gruppo in perfetta sincronia, come ad esempio gli uccelli migratori, tanto da far pensare che fra loro ci possa essere una sorta di legame mentale) iniziano a contare dicendo ciascuno un numero senza sovrapporsi, cercando, appunto, una sincronizzazione mentale con gli altri.

 

Lo scopo, alla fine del processo, è quello di rendere gli attori capaci di allargare questa condivisione al pubblico ed ottenere da quest’ultimo non tanto l’applauso (che può essere di routine) ma quell’attimo di silenzio prima dell’applauso, segno inequivocabile che il contatto è avvenuto.

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