VENEZIA 69 – "Sinapupunan (Thy Womb)", di Brillante Mendoza (Concorso)


Emerge ancora una volta tutta la potenza di un cinema modernissimo, entropico, dove il confine tra fiction e documentario s'è ormai fatto indiscernibile, diventando in questo caso  flusso di immagini liquide, dal ritmo disteso ma anche allucinatorio. Quella di Mendoza è un'immagine aperta, che cerca e trova punti di fuga che mandano in cortocircuito la scrittura per poi recuperarla in istanti di purezza emotiva che mette insieme uomo e natura, il cuore dei sentimenti con i dettagli di un mondo (esotico, in questo caso) che anzichè essere fotografato dal cinema sembra costantemente ricostruirsi e plasmarsi con esso

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Se Captured aveva segnato il cambiamento e il tentativo – da molti incompreso – di appoggiarsi a un linguaggio maggiormente classico e più impegnato da un punto di vista produttivo, questo Thy Womb segna il ritorno del regista filippino nel suo mondo, non soltanto geografico (il film è infatti girato nelle zone meridionali delle Filippine) ma anche cinematografico, qui ancor più che in altre occasioni immerso in un punto di vista antropologico che come al solito molto deve al genio del suo storico operatore Odyssey Flores. All'interno di una comunità musulmana che vive su autentiche palafitte costruite in mezzo al mare, si confuma il melodramma di Shaleha e Bangas. Sposati da diversi anni, la donna è una levatrice ormai troppo anziana per avere figli. Consapevole del desiderio del marito di diventare padre, inizia con lui a cercare nelle zone limitrofe una giovane seconda moglie.
Si apre e si chiude con una nascita l'ultimo film di Brillante Mendoza. Una nascita che celebra l'epifania di un cinema che sembra ripartire non solo dal binomio Kinatay/Lola, assurti nel giro di pochi anni al ruolo di classici mendoziani, ma anche da opere precedenti come Foster Child o Manoro (The Teacher). La macchina da presa di Mendoza si insinua sulle superfici di corpi e spazi bellissimi, che il regista filippino filma con fascinazione contemplativa e allo stesso tempo una sensibilità collaudata per il frammento, l'imprevisto che "entra" nel campo visivo, si affida a due attori professionisti ma li incastona dentro un paesaggio che li risucchia in un universo percettivo come al solito originale e ontologicamente complesso. Può anche essere vero che il metodo Mendoza cominci a denunciare i dubbi su un meccanismo di messa in scena a tratti prevedibile, ma anche in Thy Womb emerge tutta la potenza di un cinema modernissimo, entropico, dove il confine tra fiction e documentario s'è ormai fatto indiscernibile, diventando in questo caso  flusso di immagini liquide, dal ritmo disteso ma anche allucinatorio (la sequenza tribale e percussiva dei festeggiamenti del matrimonio, la parentesi action dei pirati che derubano i protagonisti in mezzo al mare). Quella di mendoza è un'immagine aperta, che cerca e trova punti di fuga che mandano in cortocircuito la scrittura per poi recuperarla in istanti di purezza emotiva che mette insieme uomo e natura, il cuore dei sentimenti con i dettagli di un mondo (esotico, in questo caso) che anzichè essere fotografato dal cinema sembra costantemente ricostruirsi e plasmarsi con esso.

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