Un ricordo personale di Robin Williams

robin williams

Giovanni Bogani ricorda l'attore scomparso. L'intervista fatta a Firenze in cui usa il termine 'crossdressed' prima dell'uscita di Mrs. Doubtfire. Con quel sorriso buono che metteva un po' paura. E che forse voleva essere una specie di Charlot, poetico e stralunato, tenerissimo e, all'occorrenza, cattivo

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robin williamsSono quasi le tre di notte, sto guardando la Cnn nella stanza d’albergo, che altrimenti sarebbe silenziosa e vuota. Obama ha scritto un messaggio sulla morte di Robin Williams, e l’anchorman lo sta leggendo. Robin Williams è morto più o meno dalle 22, qui in Italia. Ma in orario da prime time, per Los Angeles. Da mezz’ora, alla Cnn, non parlano d’altro.

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“Robin Williams ci ha fatto ridere, ci ha fatto piangere, era un genio. E’ stato vicino alle nostre truppe e ai barboni in mezzo alla strada”, scrive Obama. Il Renzi d’oltreoceano usa le stesse parole di noi ragazzi che abbiamo visto Robin Williams in tv, e poi al cinema. Senza pomposi giri di parole. Come uno spettatore tra gli spettatori. “Le truppe”? Ah sì. Le truppe. Me lo ricordo, Robin Williams – che credevo poco guerrafondaio, e molto pacifista – abbracciare i soldati americani, staccare parole di orgoglio, nazionalista assai. E vabbè.

 

Tra tutti i suoi film, mi viene in mente quel dialogo in Good Will Hunting con Matt Damon. In cui fa lo psicanalista barbone e incazzato, emarginato e vedovo. Era bella,quella serie di parole in cui Williams diceva “se ti chiedessi dell’arte, tu mi diresti dei grandi pittori. Ma non li hai mai visti dal vivo. Se ti chiedessi dell’amore, mi citeresti i poeti. Ma non hai mai amato”.

E in fondo il dilemma è tutto qui. Vivere o vivere di film, canzoni, opere teatrali? Vivere o capire con la letteratura, con il cinema, con la musica.

Un giorno lo avevo intervistato.

A Firenze,mi chiamano la mattina. E’ il portiere di un albergo, un mio amico. “Ma che, può darsi che ci sia Robin Williams a Firenze?”. Io: boh. “Mah. Mi è sembrato di vedere uno che gli somiglia parecchio. Ma non è registrato come Williams. Se ti interessa…”. Un quarto d’ora dopo la mia bici frenava davanti all’albergo.

E poi? E poi si aspetta. Nella hall. Intanto il portiere mio amico se ne va. Finito il turno. E io aspetto. Nella poltrona. L’hotel è di lusso. Entrano turisti americani. Alcuni si accostano al banco. Altri vanno diretti verso l’ascensore. Noto che non sono vestiti da ricchi. Che hanno T shirt e sneakers, come noi comuni mortali. Anzi no. Io ho la camicia e le scarpe nere. Perché non si sa mai, meglio essere vestiti bene, se arriva Robin Williams. Ma non arriva. E passano i minuti, i quarti d’ora, le ore. Sempre su quella poltrona. Tic tac tic tac.

Poi, sono le quattro di pomeriggio, un tipo con gli occhiali da sole entra con una donna. E’ lui! Salto su dalla poltrona, quasi lo manco, è già entrato nell’ascensore, no riesco a fermarlo, gli balbetto in inglese che vorrei un’intervista…

robin williams in mrs. doubtfireLa  donna che è con lui lo tira via, ma lui forse è impietosito. “Ok, mi aspetti cinque minuti”. Va su, sparisce nell’ascensore. Ma torna.

“Ok, facciamo in fretta”. Non riesco neanche a prendere il quaderno per gli appunti, tengo tutto a memoria. Parliamo in inglese, e mi parla soprattutto di un film che farà, in cui è un marito separato che deve recuperare l’affetto di sua moglie e dei suoi figli, e torna in casa da loro, fa loro da mangiare, a volte sbaglia, poi li porta in giro, li fa divertire, riscopre il rapporto con loro…

Io sono felice. Lo ringrazio, lo abbraccerei. Vado a casa, scrivo, con la bicicletta porto il pezzo al giornale. Lo mettono a tutta pagina.

C’era una parola che non avevo capito. “Crossdressed”, mi pare. Boh. Facciamo finta di niente. Mesi dopo, esce il film di cui Robin Williams mi parlava. Mrs. Doubtfire. Avevo scritto tutto. L’unica cosa che non avevo scritto, e che non avevo capito, e che non avevo realizzato quanto fosse importante, era in quella parola: “crossdressed”. Lui faceva tutte le cose di cui parlavo, ma travestito da donna!

Non l’ho mai detto a nessuno. Erano passati mesi, nessuno ricordava quell’articolo. Ma io sì. Se fossi stato il direttore di me stesso, mi sarei licenziato.

Ma in un giornale come il mio, tutto vale lo stesso. Era un articolo come un altro, carta pronta per involtare la verdura al mercato. Nessuno ci ha mai fatto caso. Solo io mi ricorderò per sempre Robin Williams e “crossdressed”.  

 

Chi eri, Robin Williams? Forse volevi essere Charlot, poetico e stralunato, tenerissimo e all’occorrenza cattivo, surreale e patetico. E forse non ci sei mai riuscito fino in fondo. A me, te lo confesso, faceva paura quel tuo sorriso buono. C’era un film in cui eri un serial killer. Beh, quello era il film giusto, per te. Non tutte quelle baggianate per bambini dove eri una specie di gnomo buono, un folletto, uno zio saggio. Eri diventato una specie di gadget per i film da ragazzi. E non mi piaceva, questa cosa.

 

Adesso intervistano al telefono Henry Winkler, Fonzie. Che parla di Robin Williams con cui ha lavorato in una serie televisiva. Fonzie: era quasi morto, lui. Lo avevano intervistato per strada senza riconoscerlo, l’eroe della mia adolescenza. E ora parla, da uomo vivo, di uno che è morto.  

 

 

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