Boyhood, di Richard Linklater


Racconta senza picchi della serialita’ di cui sono innervati i ricordi, le pagine tutte uguali degli album delle fotografie: e’ struggente perche’ ognuno di noi crede di poter fare un film dalla propria autobiografia, quando in verita’ il massimo che riusciremmo a cavarne fuori e' un film del Sundance. Orso d'Argento per la regia alla 64° Berlinale

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Con Boyhood Richard Linklater firma un’opera fondamentale per la concezione stessa di “cinema indipendente” americano, chiudendola casualmente nello stesso anno in cui Robert Redford da’ il suo addio al Sundance Film Festival: di fatto, questo genere a se’ che Linklater ha contribuito a codificare e’ giunto ad un punto di non ritorno (ancora: All is lost?), che il film sicuramente piu’ ambizioso e impegnativo del cineasta fotografa in maniera definitiva se non lapidaria.

In Boyhood Linklater fa i conti con quello che l’etichetta di “indipendente” indica oggi all’interno del cinema americano, e lo fa avendoci ragionato per una decade (l’inizio delle riprese, com’e’ noto, e’ il 2002), portando avanti di anno in anno con lo stesso cast (tra cui la figlia Lorelei) questo esperimento di progetto familiare fino all’istante in cui il protagonista Mason, l’attore Ellar Coltrane seguito dall’infanzia sino al primo giorno di college, alla lettera annulla il cinema con uno sguardo in macchina, svelando decisivamente di aver percepito uno sguardo addosso in ogni momento della vita. Schermo nero, titoli di coda. Che cosa succede ad un’intera fetta di cinema USA che ha sempre sentito propria l’urgenza del racconto minimale, quotidiano, che ha sempre ricercato la spontaneita’ della vera esistenza, legata a bozzetti di realta’ filtrata attraverso una sensibilita’ gloriosamente alternativa, ostinatamente non allineata?
Mason cambia look seguendo i dettami del teenager controcorrente, e intorno a lui cambiano la musica, la tecnologia dei videogames, l’America, ma il Texas rimane sempre uguale con le sue Bibbie e i suoi fucili per regalo, e Mason vuole fare l’artista, non sa se continuare a studiare, fa il volontario nella campagna elettorale di Obama, e se la prende con la spersonalizzazione delle relazioni tra i suoi coetanei per colpa di Facebook e della societa’ robotizzata… eppure e’ proprio lo sforzo del romanzo di una generazione, di una nazione, che Linklater sfoggia in maniera sottolineata e decisamente meccanica, a diventare un fardello troppo pesante per la narrazione, come se l’assoluta dedizione dell’operazione decennale (tra l’altro non proprio inedita) ne costituisse in realta’ alla fine paradossalmente un elemento di distrazione, di sviamento dal senso ultimo di questi appunti su passioni e sentimenti nascosti del diario di un teenager introverso. Non e’ un caso che sia proprio l’infanzia, in cui la casa e il quartiere sono per il piccolo Mason il mondo, la sezione maggiormente intima dell’opera, che col passare delle eta’ deve poi per forza di cose fare i conti con il ritratto sociale di cosa c’era la’ fuori, perdendo cosi’ quella intollerabile, esplosiva concentrazione domestica che hanno ad esempio i film di famiglia di Judd Apatow.

Ethan Hawke e’ l’unica nota impazzita dell’armonico, melodioso spartito: Hawke e’ l’anima piu’ vera del cinema di Linklater proprio perche’ costantemente fuori tono, al di sopra del realismo di una bella spanna, esagitato, storto, imprevedibile e umanissimo nella sua figura paterna, che riporta apertamente al suo bellissimo exploit registico The hottest state. Anche perche’ quella di Mason e’ un’esistenza a conti fatti semplice, ordinaria se non fosse per i due compagni ubriaconi della madre (l’amore, gli amici, la scuola, la passione per la fotografia…): una vita da piccolo schermo, portata al cinema.
Boyhood racconta della serialita’ di cui sono innervati i ricordi, le pagine tutte uguali degli album delle fotografie, delle mille puntate in cui possiamo strutturare le vicende di una giovinezza, dei subplot e dei running plot senza picchi seguendo i quali passano le nostre stagioni: e’ un film struggente perche’ ognuno di noi crede di poter fare un film dalla propria autobiografia, quando in verita’ il massimo che riusciremmo a cavarne fuori sono degli episodi di un medio serial per adolescenti.
I film del Sundance, dove Boyhood e’ stato presentato in anteprima, sono alla fine serviti a insegnarci questo, che dalle nostre piccole lotte non potra’ mai venire fuori un grande film, ma al massimo un film del Sundance, nonostante JC Chandor.

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Titolo originale: id.
Regia: Richard Linklater
Interpreti: Patricia Arquette, Ellar Coltrane, Ethan Hawke, Lorelei Linklater, Tamara Jolaine, Evie Thompson
Origine: USA, 2014
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 163′

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