FESTIVAL DI ROMA 2012 – “Aku no kyoten (Il canone del male)”, di Miike Takashi (Concorso)

aku no kyoten
Le immagini di Miike non finiscono mai, si moltiplicano senza sosta, con le loro deviazioni impossibili che si espandono e si tramandano senza soluzione di continuità film dopo film, quasi a voler nascondere quello che c’è dietro di loro. Come il protagonista di Aku no kyoten, il professor Hasumi, che al di là della sua maschera da assassino non ha alcun volto e per questo si ostina ad indossarla, per non precipitare nel vuoto

 

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aku no kyotenNella girandola impazzita di For Love’s Sake era l’amore a far muovere il mondo. Ma, come è ormai noto, i mondi attraversati da Miike Takashi sono pressochè infiniti e a far muovere l’ultima fatica di uno dei pochi registi più veloci del cinema è la realtà scolastica giapponese, con la sua perversione congenita e la sua corsa al massacro che quel sublime autore che è stato Kinji Fukasaku ha raccontato nel superbo Battle Royale. E forse è proprio il ghigno marmoreo del prof. Kitano ad aver ispirato la lucidissima follia di questa ennesima scorribanda cinica e violentissima tra le macerie del Giappone contemporaneo e la sua realtà alla deriva. Aku no kyoten vuole essere un dissacrante “magnificat” del male (per usare le parole messe in bocca da Miike ad uno dei suoi protagonisti), dove Seiji Hasumi, moderna reincarnazione del dio della guerra e della morte, nascosto dietro le spoglie del bonario professore che si è guadagnato la stima dei colleghi e l’amore dei suoi alunni solo per compiere la sua macabra opera, appunto magnifica perchè al di là dell’umana comprensione, canta insieme al brechtiano Macky Messer la sua folle ballata di guerra e morte con in mano un coltello che nessuno vede. Almeno non all’inizio.

Sì, perchè per tutta la prima metà di Aku no kyoten Miike ci porta per mano sulle tracce di un giallo apparente che si diverte a ribaltare lo schema del classico whodunit, dichiarandoci da subito l’identità del nostro assassino, salvo poi lasciare di colpo la presa e disorientaci, ancora una volta e come solo Miike sa fare, con l’ennesima deflagrazione (dei generi). Tra trovate splatter e aperture ironiche, Aku no kyoten diventa allora un pirotecnica e festosa mattanza fatta di immagini che, allo stesso modo dei corpi che  il professor Hasumi lascia a terra al suo passaggio, si sovrappongono l’una all’altra, ad un ritmo sempre più vorticoso, tra gli scenari di cartone, costruiti dagli studenti del liceo di Shinko per mettere in scena, nel luna park di Miike, il loro tunnel degli orrori di fine anno scolastico.

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To be continued, così recita la scritta che chiude il film. Le immagini di Miike non finiscono mai, si moltiplicano senza sosta, con le loro deviazioni impossibili che si espandono e si tramandano senza soluzione di continuità film dopo film, quasi a voler nascondere quello che c’è dietro di loro. Come il professor Hasumi, che al di là della sua maschera da assassino non ha alcun volto, non ha alcuna memoria, e per questo si ostina ad indossarla, per non precipitare nel vuoto della sua assenza e scomparire per sempre. Dietro le immagini non ci aspetta altro che la fine del mondo, non è forse quello che ci dice Dead or Alive? Miike lo sa bene, lo ha sempre saputo. E’ per questo che il suo Cinema non può fermarsi. Mai.

 

 

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