FESTIVAL DI ROMA 2012 – “L'isola dell'angelo caduto”, di Carlo Lucarelli (Prospettive Italia)


L'esordio da regista di Carlo Lucarelli dimostra una evidente difficoltà nel saper gestire dal punto di vista visivo la grossa quantità di suggestioni che provengono dal romanzo, opera sempre di Lucarelli, che imbastisce un interessante esperimento su alcuni elementi classici del giallo virati in una coloritura decisamente più noir. L'intuizione più interessante del testo è però nell'atmosfera metafisica, al limite con l'esoterico, ma la messinscena  terrificantemente statica e priva di qualunque guizzo vanifica ogni potenzialità visionaria

 

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L'esordio da regista di Carlo Lucarelli dimostra una evidente difficoltà nel saper gestire dal punto di vista visivo la grossa quantità di suggestioni che provengono dal romanzo, opera sempre di Lucarelli, che imbastisce un interessante esperimento su alcuni elementi classici del giallo (l'isola misteriosa, il detective estraneo a cui non è dato di penetrare i segreti nascosti di una comunità chiusa, i moventi passionali…) virati in una coloritura decisamente più noir (le alte cariche che tentano di impedire e insabbiare l'indagine, il dramma privato e celato del protagonista, il quale perde progressivamente il controllo e la lucidità sugli eventi che non riesce più a leggere, i personaggi di contorno altamente allegorici come l'uomo di scienza tenuto segregato, la cui liberazione segna la svolta decisiva nella soluzione del mistero, e il personaggio muto ma onnisciente, quasi ultraterreno). L'intuizione più interessante del testo è però nell'atmosfera metafisica, al limite con l'esoterico (l' “angelo caduto” del titolo è chiaramente Lucifero) che aleggia per tutta la storia, che tenta così un parallelo, non del tutto inedito ma sempre potente, tra ascesa dell'epoca fascista (film e romanzo sono ambientati nel 1925) e il vizio proibito dell'occulto che è sempre piaciuto ad una certa Italia piccolo-borghese.
Tutta questa stratificazione porta ad un colpo di scena finale dal sapore decisamente metafisico, che trasforma la vicenda anche in una riflessione addirittura quasi esistenziale (anche questa una strada in realtà già battuta quando si ha a che vedere con ambientazioni su piccole isole sperdute, ma poco male).

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Malauguratamente Lucarelli opta per una messinscena terrificantemente statica e priva di qualunque guizzo che non siano un paio di montaggi di flashback timidamente “scompigliati” nella loro sequenza cronologica e le musiche evocative e ansiogene firmate da un decano del rock italiano come Gianni Maroccolo che campiona e sventra con ardore i vocalizzi agghiaccianti di Sainkho Namtchylak, per restituirci il senso di malata dimensione soprannaturale che ricopre l'isola: forse la concezione di proscenio su sfondo digitale che accompagna le sequenze è un dichiarato riferimento al cinema da posa di metà anni '20, ma purtroppo il risultato non ha la potente deriva spiazzante dei fondali 3D dell'avanguardistico Dracula di Argento.
Peccato. Del film rimane allora soprattutto questo personaggio animalesco di gerarca fascista cattivissimo e implacabile, Mazzarino, il vero Diavolo dell'isola, sorta di forza ancestrale e irrazionale impossibile da incastrare: una messinscena di gran lunga più visionaria avrebbe però giovato anche all'indiscussa potenzialità immaginifica della figura.

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