"Piovono mucche", di Luca Vendruscolo

Il film d'esordio di Luca Vendruscolo è una tragicommedia coraggiosa e soprattutto sincera, priva di qualsiasi intento pedagogico dove, per la prima volta dall'era post-Muccino, vediamo rappresentata una generazioni di giovani che agiscono e soprattutto soffrono e gioiscono in maniera immediata

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Niente istrioni, nessuna grande prova d'attore e soprattutto niente Oscar. Se in America gli handicappati al cinema sono diventati un sospirato banco di prova per divi dello star system hollywoodiano (da Dustin Hoffman a Robert De Niro, fino ai recenti Sean Penn e Russell Crowe) nonché delle vere e proprie galline dalle uova d'oro per grandi e piccole major, in Italia i film sugli handicappati hanno sempre costituito un limite fastidioso. Difficile non cadere in una sana e gratificante retorica dei sentimenti a metà tra il pietismo e l'indignazione, improbabile non impregnarsi di pretese autoriali nel tentativo convulso di aspirare a un realismo della rappresentazione, impossibile schivare la gabbia del cinema "sociale" di cui si fa sempre un gran parlare. E inoltre i cineasti nostrani (ma forse è tutta l'Europa a non fare troppo eccezioni) hanno sempre preferito soffermarsi sul malessere psichico anziché sul problema fisico-motorio (vedi l'ultimo Faenza), prediligendo il folle al disabile e il tetraplegico (come Perdiamoci di vista di Verdone) all'handicappato (che oltretutto, per la maggior parte, è un "non troppo diverso", ovvero un down). Pudore, imbarazzo, incomprensione, mancanza d'interesse per un soggetto poco allettante o forse, semplicemente, assenza di "tenerezza", come direbbe Rossellini. In questo panorama d'invisibilità, il film d'esordio di Vendruscolo è una tragicommedia delicata e coraggiosa priva di qualsiasi intento pedagogico e soprattutto sincera. Per la prima volta, dopo l'era Muccino, vediamo rappresentata una generazioni di ventenni/trentenni diversa, personaggi che agiscono e soprattutto soffrono e gioiscono in maniera immediata. Merito forse dell'esperienza autobiografica che sottintende tutta l'opera (il cui soggetto è stata vincitore del premio Solinas nel 1996), per cui Vendruscolo si è trovato a maneggiare una materia che conosceva bene, ma merito anche di una sensibilità inconsueta che ha saputo cogliere con un'ingenuità disarmante il mondo alieno di una comunità di veri handicappati. Una galleria di figure osservate senza alcun compiacimento, che non indugia mai nel deplorevole effetto "circense" e che, semmai, trova il suo limite solo nell'acutizzazione di alcuni episodi drammatici, atti a sbandierare con schietto fervore le reali vicissitudini di ciascuno di loro. Non esseri stra-ordinari appartenenti a chissà quale disgraziato iperuranio quindi, malati di sfortuna nostalgici e "arrabbiati" col mondo da rabbonire e consolare, bensì persone in carne ed ossa da soccorrere senza esitazioni, corpi vivi, in cerca di emozioni nonostante la stortura, vivi nonostante la diffidenza e l'avversione che possono suscitare, vivi nonostante il recinto che li confina in un luogo fisico, mentale e sociale "a parte" e che tra un clistere e un altro, non smettono mai di desiderare.

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Regia: Luca Vendruscolo
Sceneggiatura: Filippo Bellizzi, Marco Damilano, Massimo De Lorenzo, Marco Marafini, Mattia Torre, Luca Vendruscolo
Fotografia: Luca Coassin
Montaggio: Luca Benedetti
Musica: Giuliano Taviani
Scenografia: Valentina Scalia
Costumi: Fiamma Benvignati
Interpreti: Matteo (Alessandro Tiberi), Corrado (Massimo De Lorenzo), Moretti (Luca Amorosino), Pallino (Andrea Sartoretti), Percalli (Mattia Torre), Beatrice (Barbara Bonanni), Franco (Franco Ravera)
Produzione: Axelotil Film
Distribuzione: Pablo
Origine: Italia, 2002

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