“I Mercenari 2”, di Simon West


Stallone compie un’operazione ancora maggiormente azzardata di quanto lo fosse la Valena del prototipo, e assimila in sostanza il Mito americano della Frontiera non più alla conquista del West ma alle macerie della Guerra Fredda, ovvero il luogo natale delle icone sul cartellone del film

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Basta guardare al prologo di questa seconda avventura degli Expendables stalloniani per rendersi conto di quanto Sly (il quale con le sue due storiche saghe ha sostanzialmente traghettato l’idea di sequel reiterato dalle intuizioni cormaniane alle concezioni industriali contemporanee) abbia messo tutto se stesso nel film, scritto insieme a Richard Wenk. Malgrado Simon West, I Mercenari 2 si rivela da subito come il terzo tassello di un trittico formato insieme a Rocky Balboa e John Rambo – una trilogia di etica e umanesimo tra autobiografismo e celebrazione di persistenza.
Il primo Expendables aveva soprattutto il valore di un gesto potentissimo, un pugno devastante sferrato contro Hollywood a velocità supersonica. Stavolta, fatta oramai salva la possibilità effettiva di realizzare (ancora o finalmente) un’operazione del genere, Stallone affonda lo script nelle proprie ossessioni di sempre, con una trasparenza e una passione anche ingenua che continuano a sembrare miracolose. In un paio di dialoghi con il giovane neo-mercenario Billy (Liam Hemsworth), che è insieme un novello Rambo appena tornato dal Vietnam e il figlio di Rocky a cui dare lezioni di vita, ancor prima dei titoli di testa Sly setta le coordinate del rapporto con le nuove generazioni (e il nuovo cinema? nell’attesa di vederlo diretto da Walter Hill…), che corrono più veloci e non sbagliano un colpo. Nel fragile e bellissimo rapporto tra Barney e Billy, e relative conseguenze, sta il cuore (nero, come ben presto sottolinea Statham) del film.

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Concettualmente, I Mercenari 2 compie un’operazione ancora maggiormente azzardata di quanto lo fosse la Valena del prototipo, e assimila in sostanza il Mito americano della Frontiera non più alla conquista del West ma alle macerie della Guerra Fredda, come già detto il luogo natale delle icone sul cartellone del film. In una vicenda costellata da espliciti omaggi e rimandi al western, tra Billy the kid e il fischio di Ennio Morricone, teste mozzate alla Peckinpah e assedi sulla main street alla Hawks, Sly e i suoi finiscono in una replica di una cittadina americana degli anni ’50 tirata su tra le montagne bulgare e poi abbandonata dai sovietici per esercitarsi alla Invasion USA (non a caso Chuck Norris è l’unico abitante del villaggio fantasma…). E' il Museo-magazzino a cui questi personaggi appartengono (come chioserà Schwarzy nel finale), e non è a conti fatti troppo distante dall’ambientazione della prima parte del film-saggio centrale sulla questione del Ritorno, ovvero il capitale Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo di Spielberg. Liberando i poveri minatori dell’est Europa schiavizzati dal perfido Van Damme, in una situazione a metà tra Daylight e Fuga per la vittoria (appunto, la seconda guerra mondiale), Stallone riesce una buona volta a fare di questi suoi ultimi eroi dei “classici” crepuscolari, il vero e tangibile trait d’union con la pantagruelica eredità del “cinema dei duri”, da Huston a Aldrich via Samuel Fuller.

E poi sì, certo, ci sono le battute gradasse e scorrette, la violenza esagerata e senza freni, gli sketch autoironici, gli ammiccamenti e le mitragliate di auto-citazioni che colpiscono tutte le star impiegate nel film (chi di voi è riuscito a cogliere la linea di dialogo presa in prestito da Cobra?), da Norris che recita uno dei suoi celebri facts a Schwarzy che saluta Bruce Willis con “Yippee-ki-yay”, alla superlaurea del cervellone Lundgren: ma anche stavolta tutta questa spacconaggine non basterà a Sly per conquistare un bacio dalla ragazza (non ho avuto i soldi, e non ho avuto la donna…).
Allora è altrettanto vero che la regia di Simon West (anch’egli si doppia, rifacendo un atterraggio rovinoso e catastrofico d’aereo dopo Con Air) è la cosa peggiore del film, statica e completamente fuori dall’azione, spesso limitata a dei campi larghi che inglobano le intere sequenze di lotta o sparatoria tenendole a distanza, come se West avesse paura di rompersi pure lui l’osso del collo ad andare più stretto, alla stregua di Sly sul set del primo episodio.
Ma non è il primo né sarà l’ultimo caso in cui Stallone affida i suoi progetti a cineasti privi di particolare guizzo, perciò facciamoci bastare il fantastico dolly che si alza in cielo mentre Barney Ross saluta guardando in macchina il cinema che si allontana verso l’alto, mentre lui sempre più piccolo decide di restare ancora una volta per terra, in mezzo all’azione, a combattere con i (propri) demoni all’inferno.

Titolo originale: The Expendables 2
Regia: Simon West
Interpreti: Sylvester Stallone, Jason Statham, Arnold Schwarzenegger, Bruce Willis, Chuck Norris, Jean-Claude Van Damme, Jet Li, Dolph Lundgren, Randy Couture, Terry Crews, Liam Hemsworth 
Origine: USA, 2012
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 136'

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