"El campo", di Hernàn Belòn

El campoEl Campo immerge i due protagonisti in un’atmosfera sottilmente inquietante e minacciosa per poi rivelare che l’unico spettro che aleggia su di loro è quello di una crisi di coppia allo stesso tempo inspiegabile e concreta. Il regista argentino descrive la loro deriva con lo stile allusivo ed elegante di chi ha studiato fin troppo bene il manuale del buon cinema d’autore. Il risultato è “corretto”, ma fatalmente privo di intensità.

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------
La campagna cui allude il titolo dovrebbe essere il “buen retiro” di una giovane coppia di Buenos Aires che, bambina al seguito, si concede una vacanza dal convulso mondo cittadino. Questo almeno nelle intenzioni di Santiago (Leonardo Sbaraglia), il cui entusiasmo non si fa scalfire neanche dalle condizioni un po’ fatiscenti della villa da lui scelta. Sua moglie Elisa invece (Dolores Fonzi) manifesta da subito una forma di insofferenza per il luogo, un’inquietudine nutrita inizialmente da elementi da horror psicologico come l’ambientazione tetra, i sospetti rumori notturni o l’anziana vicina che le suscita un’immediata avversione.
Preda di un senso di minaccia apparentemente ingiustificato, Elisa sembra un animale in grado di presentire qualcosa che il marito non può percepire. Finché fra i due non si consuma un allontanamento progressivo: come in una inesorabile deriva dei continenti la coppia perde ogni sintonia, cerca di legarsi tramite il sesso ma lentamente si sfalda e si perde.

Dopo aver calato i protagonisti in un contesto di crescenti inquietudini da ghost story, il film del documentarista Hernàn Belòn rivela che l’unico spettro è quello dell’incomprensione sentimentale, della comunissima crisi di coppia. Un progressivo allontanamento che però del soprannaturale mantiene la dimensione oscura e imprevedibile: il disagio di Elisa è un elemento irrazionale, quasi metafisico, che trova sponda nell’imperturbabilità alienante della campagna desolata che la circonda. A dominare non è tanto il motivo dell’isolamento che mette alla prova le certezze della coppia, né la reazione a qualcosa che si rivela nella natura. La crisi amorosa dei protagonisti del resto non vive di episodi e di conflitti concreti, ma cresce all’interno del clima psichico quasi allucinato della donna, elemento destabilizzante o forse semplicemente ipersensibile.

Il regista descrive questa deriva con uno stile senza dubbio elegante fatto di ritmi dilatati, ellissi, allusioni simboliche (la caccia alla lepre), una fotografia ricercata ma sobria che non carica l’ambientazione più del necessario. Si tratta a ben vedere di un repertorio fin troppo da manuale del cinema d’autore. Belòn immerge i personaggi nei silenzi di Antonioni e nei conflitti psicologici di Bergman, riproposti però a un livello di intensità bassissimo. Come un bravo scolaro che non sa andare oltre la corretta esecuzione, può forse gratificare il gusto del suo spettatore ma non colpirlo davvero in profondità.


 

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------
Titolo originale: id.
Regia: Hernàn Belòn
Interpreti: Leonardo Sbaraglia, Dolores Fonzi, Juan Villegas, Pochi Ducasse, Matilda Manzano
Origine: Argentina, Italia, 2011
Distribuzione: Cinecittà Luce
Durata: 85'

 

 

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative