“The words”, di Brian Klugman e Lee Sternthal

Jeremy_Irons_The_words
Clay Hammond aspira al disincanto e al distacco, riesce a dare a bere saggezza e ironia, finisce come qualsiasi altro essere umano, schiavo di un istinto che non porta da nessuna parte. Una storia dentro una storia, che ha dentro un’altra storia. Che ne sarebbe stato del pubblico, in queste condizioni, senza la voce narrante? Insomma, al massimo si tratta di vite a incastro: tre personaggi, un’unica anima? Tre persone unite dal destino? Magari tre sogni infilati uno nell’altro. Chissà: il finale si compiace della sua apertura

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 Jeremy_Irons_The_wordsThe words è una sorta di continua fuga castrata. Sembra voler allontanarsi dallo schema, dallo stereotipo, dal cliché che continua a dichiarare (a un certo punto proprio esplicitamente, in una battuta sull’alcool) fin dalla sequenza di apertura. Il rito del reading in abito scuro, la casa ricchissima e patinata ma ancora con gli scatoloni da aprire: ciò che rifiuti è forse il tuo destino. Clay Hammond (un appiccicoso, viscido, insopportabile Dennis Quaid) aspira al disincanto e al distacco, riesce a dare a bere saggezza e ironia, finisce come qualsiasi altro essere umano, schiavo di un istinto che non porta da nessuna parte. Uno scrittore affermato racconta una storia, prima al pubblico accorso ad ascoltarlo, poi a una studentessa molto curiosa.

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Questa è una storia dentro una storia, che ha dentro un’altra storia. Che ne sarebbe stato del pubblico, in queste condizioni, senza la voce narrante? Insomma, al massimo si tratta di vite a incastro: tre personaggi, un’unica anima? Tre persone unite dal destino? Magari tre sogni infilati uno nell’altro. Chissà: il finale si compiace della sua apertura. Nel frattempo, c’è modo di esplorare un altro cliché: lo scrittore che si bea del fatto di poter passare le giornate girovagando per le strade. Sarebbe un aspirante bohemien, ma si sente subito che la sua intenzione, la sua tensione è falsa. Bohemien: luna di miele a Parigi.

Forse The words intendeva far trapassare lo schermo dall’ineffabilità della scrittura. Impresa non facile, che finisce solo per restare alle restrizioni del linguaggio: impossibilità di comunicare, ma possibilità di anticipare quello che l’interlocutore sta per dirti (se si gira per antiquari, si finisce per trovare qualcosa; se si hanno tante valigie, si finisce per lasciarne una irreparabilmente indietro; se si è vecchi e stanchi e capaci di perdonare, capaci di lasciare andare, allora si muore). La recitazione dei protagonisti, come si diceva, è buona, e Bradley Cooper (Rory) riesce a incarnare con una certa sincerità la gabbia dell’aspirazione, il demone del successo professionale che si rincorre con una corsa a vuoto e con cattiva coscienza. La storia nella storia nella storia (quella che ha per protagonista il passato del vecchio, interpretato da Jeremy Irons) è il momento migliore, la parte più sincera, l’istinto della scrittura, il dolore che ci consente di creare: tutto ciò che manca alla storia nella storia (quella del plagio messo in opera da Rory), ma che rimane sempre in qualche modo imprigionato nell’inettitudine del linguaggio.


Regia: Brian Klugman, Lee Sternthal 
Interpreti: Bradley Cooper, Jeremy Iron
s, Dennis Quaid, Olivia Wilde, Zoë Saldana
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 97’ 
Origine: USA, 2012

 

 

 

 

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