"Padroni di casa", di Edoardo Gabbriellini


Gabbriellini finchè riesce ingloba e accumula violenza sottotraccia, inespressa, sequenza dopo sequenza. Dando prova di gran coraggio (pari forse solo a quello dimostrato da Gianni Morandi in un ruolo inedito e modellato su una sorta di incredibile versione distorta della sua icona) e una bella maturazione dietro la macchina da presa. Il suo è un film che va difeso nonostante difetti e incompiutezze, attento a mantenere una secca coerenza stilistica e formale, ma innanzitutto una grande efficacia istintiva, irrazionale, epidermica e pulsante. In concorso al 65° Festival di Locarno

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In un cinema italiano abituato a spiegare tutto e a parlare tantissimo, Elio Germano e Valerio Mastandrea per gran parte di Padroni di casa – presentato in concorso al 65° Festival di Locarno e scritto proprio da Gabbriellini e Mastandrea con Francesco Cenni e Michele Pellegrini – lasciano una grossa quantità di cose per sottintese, capite a sguardi e frasi smozzicate scappate quasi involontariamente. E il film è circondato da altri personaggi di cui conosciamo solo il presente, e il cui passato lo possiamo intuire unicamente dai segni che portano sul corpo e nell'animo, come il cuore indurito di Fausto Mieli/Gianni Morandi, gli occhi stanchi di sua moglie malata Moira/Valeria Bruni Tedeschi, le violente storie di gelosia di paese che legano gli adolescenti Adriana e Davide, la prepotenza di Calzolari, tipico signorotto di piazza…

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Certe scene da bar si riconoscono subito: Gabbriellini finchè riesce ingloba e accumula violenza sottotraccia, inespressa, sequenza dopo sequenza, dalla partita a ping pong alla sbronza di Mastandrea al baretto del paese. In questi momenti l'attore diventa una sorta di minaccia pronta ad esplodere in un attimo, un cavo della tensione che sta per rompersi in un tripudio di scintille (come i fuochi d'artificio dei titoli di coda) – Mastandrea sembra riprendere alcuni tic e situazioni dal suo personaggio in Ruggine di Gaglianone (il quale al contrario di Gabbriellini cedeva alla tentazione di mostrare e raccontare ogni cosa), ma con meno velleità e frammentarietà. E la sensazione di pericolo perenne è acuita proprio dal mistero che circonda la vicenda umana del suo Cosimo (ex-alcolista con conseguenze anche psichiche, passato attraverso la clinica di riabilitazione?), e del fratello Elia (Germano). Anche negli accesi litigi e confronti tra i due senti sempre l'occhio del ciclone (il mosaico a spirale a cui stanno lavorando nella scena di scontro meglio riuscita), la tempesta che sta per arrivare: e bisogna dire che anche quando la rabbia esplode Gabbriellini non insiste mai sui particolari violenti, preferendo stacchi di montaggio anche repentini come due freezeframes (in istanti diversi) su un Mastandrea stravolto. Calcando forse un po' troppo la mano solo sull'ultima sequenza condivisa da Morandi e la Bruni Tedeschi, che seppur senza sangue è davvero la piu' insostenibile dell'intero film.

Padroni di casa è una di quelle storie dal destino segnato e ineluttabile, che in effetti va a finire come ti aspetti gia' dai primi minuti (basta inquadrare subito i riferimenti, soprattutto americani, da Peckinpah a Boorman…), ed è forse proprio nella chiusura il maggior punto debole della pellicola. E pero' Gabbriellini da prova di gran coraggio (pari forse solo a quello dimostrato da Morandi in un ruolo inedito e modellato su una sorta di incredibile versione distorta della sua icona) e una bella maturazione dietro la macchina da presa. Il suo è un film che va difeso nonostante difetti e incompiutezze, attento a mantenere una secca coerenza stilistica e formale, ma innanzitutto una grande efficacia istintiva, irrazionale, epidermica e pulsante.

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