"Diana Vreeland: L'imperatrice della moda" di Lisa Immordino Vreeland


Una ritmata agiografia che non nasconde le imperfezioni del soggetto, ma è capace di ostentarle fino a trasformarle in pregi – esattamente come faceva Diana con il suo look. Un ritratto incalzante ed evanescente, che riesce a cogliere l'estrema gioia di vivere di una figura saldamente ancorata a una visione elitaria della vita, e al contempo assolutamente a suo agio con i cambiamenti tumultuosi delle epoche

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Uscita in poche sale, in vista della distribuzione home video tramite la collana Real Cinema di Feltrinelli, per il documentario sull'icona della moda Diana Vreeland, profetessa ambigua del glamour del ventesimo secolo, capace di precorrere e inventare lo stile e l'effimero (facendo intendere ciò che ci sta intorno) da dietro le quinte dei magazine femminili. Redattrice eccentrica e dispotica, sregolata nelle spese e lungimirante nelle scelte, è riuscita a plasmare un'immagine di mutamento e novità a partire dall'amore per i vestiti come specchio di ciò che raccontano della vita di chi li indossa. Prima come responsabile della moda del glorioso Harper's Bazaar, poi come editor-in-chief di Vogue, dal 1963 al 1971, è stata la prima a portare alla luce non solo la bellezza, ma la personalità delle modelle e degli abiti, con una scelta anticonvenzionale dei soggetti, da Barbra Streisand a Anjelica Huston, da Twiggy a Cher. Cresciuta durante la Belle Époque ed esplosa con la Swingin' London degli anni '60, ha vissuto gli sconvolgimenti generazionali raccontandoli da una prospettiva pungente, aristocratica, anche beffarda.

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Il documentario scritto, diretto e prodotto da Lisa Immordino Vreeland, moglie del nipote di Diana, insieme a Bent-Jorgen Perlmutt e Frédéric Tcheng, è una ritmata agiografia che non nasconde le imperfezioni del soggetto, ma è capace di ostentarle fino a trasformarle in pregi – esattamente come faceva Diana con il suo look. Basato su interviste d'archivio della protagonista e contrappunti di conoscenti, familiari e collaboratori, è intervallato da foto dei servizi più significativi dalle diverse riviste – dall'esordio di Mick Jagger ai servizi faraonici in giro per il mondo. L'impostazione è classica, con una ripresa cronologica dell'ascesa nel mondo della moda, ma lo scambio di voci tra i ricordi di Diana e di chi l'ha conosciuta è efficace. Ne esce un ritratto incalzante ed evanescente, che riesce a cogliere l'estrema gioia di vivere di una figura saldamente ancorata a una visione elitaria della vita, e al contempo assolutamente a suo agio con i cambiamenti tumultuosi delle epoche, segno di una curiosità autentica. La narrazione dà per scontata una minima conoscenza pregressa del personaggio, e priva di una presentazione seppur minima gli intervistati, di cui non compare mai il nome o il ruolo – lasciato all'intuizione personale dello spettatore. La scelta appiattisce l'attenzione su Diana, colta nella sua esuberante statuarietà, facendola prevalere sul contesto. Un documento interessante, per quanto parziale, non solo per gli appassionati di moda e costume, ma anche di società e comunicazione, che permette uno sguardo insolito sui meccanismi di creazione di mitologie di massa – si tratti di Hollywood o di Jacqueline Kennedy Onassis – in cui la narrazione vince sulla realtà.


Titolo originale: Diana Vreeland: The Eye Has to Travel
Regia: Lisa Immordino Vreeland, Bent-Jorgen Perlmutt, Frédéric Tcheng
Distribuzione: Feltrinelli Real Cinema 
Durata: 86'
Origine: Usa 2012

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