“Captive”, di Brillante Mendoza

captive
Mendoza mostra delle difficoltà a rendere l’insostenibile fatica dell’attesa; una Huppert decisamente spigolosa di certo non aiuta il risultato dell'opera di un cineasta che, pur restando tra i nomi irrinunciabili della cinematografia asiatica, pare stare attraversando un periodo di chiara confusione espressiva

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E’ un dato di fatto che il cinema di Brillante Mendoza oggi non abbia più la potenza del periodo che va tra Foster Child e Kinatay. Da questo punto di vista, Lola rappresenta allo stato delle cose probabilmente il perfetto punto d’arrivo di un percorso che ha scavato nella rappresentazione affastellata del caos del reale una propria personalissima cifra stilistica (soprattutto benemeritamente tecnica al di là di una spontaneità della ripresa ricercata con ostinazione) che non ha mai disdegnato un certo populismo sornionamente “indecente” (i fenomenali Tirador o Serbis). Un’autorialità di assoluto fascino e interesse che sembra con le ultime sortite essersi arenata nel manierismo da esportazione del turistico Thy Womb (comunque attraversato in alcuni benedetti frammenti ancora da quella violenza improvvisa, incontrollata e irrazionale che manda a gambe all’aria qualunque tentativo di ricomporre il quadro), o nell’ambizione verso il salto produttivo con un progetto, come questo di Captive, dalla lavorazione più strutturata e quasi canonica, sponsorizzato dalla star engagé Isabelle Huppert (che da presidente di giuria lo aveva premiato a Cannes per la regia di Kinatay).
Tentativi di rinnovamento del proprio cinema? Può darsi: ma forse sono proprio questi esperimenti ultimi di ripulire il proprio stile, come a voler superare il gioco reiterato della sporcizia come scelta quasi di militanza espressiva, che hanno messo alle corde Brillante Mendoza mostrandoci probabilmente un autore dalla gamma non ampissima di sfumature nel proprio range (se consapevole, non è scritto che debba essere un limite).

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Isola di Palawan, Filippine. In una località balneare, 20 persone vengono rapite dal gruppo di separatisti islamici Abu Sayyaf, in lotta per l'indipendenza dell'isola di Mindanao. Tra di essi ci sono anche l'assistente sociale francese Therese Bourgoine (Ia Huppert) e la sua collega filippina Soledad, rapite per sbaglio insieme al vero obiettivo del sequestro. Dopo un lungo viaggio su un peschereccio fino all'isola di Basilan e il cammino per attraversare la giungla, sequestratori e ostaggi raggiungono le montagne, braccati dall'esercito. Tuttavia, i militari non sembrano agire veramente e gli ostaggi dovranno continuare a resistere in queste condizioni precarie per più di un anno.

Abituato a fare un cinema dove lo spazio non esiste e il tempo è un presente immobile, Mendoza mostra delle difficoltà a rendere l’insostenibile fatica dell’attesa sempre uguale a cui sono esasperatamente portati i personaggi, abbandonati dalle autorità delle rispettive nazioni di provenienza e condannati pare a un infinito limbo nella giungla in cui le esistenze assumono delle traiettorie parallele (ostaggi che diventano mogli dei propri aguzzini, la morte, l’accennato affetto di Therese verso il giovane guerrigliero); un certo disagio nella messinscena delle sequenze timidamente spettacolari e una Huppert decisamente spigolosa di certo non aiutano il risultato dell'opera di un cineasta che, pur restando tra i nomi irrinunciabili della cinematografia asiatica (e del quale si plaude dunque l'auspicatissima uscita in sala in Italia – finalmente), pare stare attraversando un periodo di chiara confusione espressiva.

Titolo originale: Id.
Regia: Brillante Mendoza
Interpreti: Isabelle Huppert, Rustica Carpio, Katherine Mulville, Marc Zanetta, Timothy Mabalot, Maria Isabel Lopez, Coco Martin, Mercedes Cabral
Origine: Francia, Filippine, Germania, UK, 2012
Distribuzione: Nomad Film
Durata: 120'

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